Dieci anni di Repubblica, 25 gennaio 1979
Aveva denunciato le Br all’Italsider
I terroristi delle Brigate Rosse hanno cominciato ad uccidere anche i militanti comunisti. La prima vittima di questo nuovo fronte dell’eversione è un operaio di Genova, Guido Rossa, delegato sindacale della Fiom-Cgil all’Italsider, iscritto al Pci. Rossa, 44 anni, sposato e padre di una ragazza, aggiustatore meccanico nella fabbrica genovese, è stato assassinato all’alba di stamane, a pochi passi da casa.Rossa ha pagato con la vita non soltanto la sua militanza politica, ma il suo impegno contro il terrorismo. Era stato lui a scoprire e denunciare un fiancheggiatore delle Br, Francesco Berardi, impiegato dell’Italsider. E i brigatisti hanno voluto «punirlo», proprio per quel suo atto di coraggio civile: «Abbiamo sparato a Guido Rossa, spia dell’Italsider», dice la telefonata che rivendica l’assassinio.
La tecnica dell’attentato è stata quella consueta di tanti altri agguati. Rossa esce di casa poco dopo le 6.30, in via Ischia, per recarsi al lavoro allo stabilimento di Cornigliano. A piedi svolta in via Fracchia e sale sulla sua «850» dalla parte destra, perché l’auto è parcheggiata di fianco al muro. La zona è quella di Oregina, sulle alture di Genova, scoscesa e piena di strade strette e tortuose.
Mentre Rossa, entrato nell’auto, sta spostandosi sul sedile di guida, i terroristi cominciano a sparare. I primi colpi di pistola lo raggiungono alle gambe. Poi un proiettile gli spacca il cuore. L’operaio muore quasi subito. A sparare sono stati almeno in due (per terra troveranno bossoli di due armi diverse, una calibro 9 lungo e una 7,65).
La notizia si diffonde in città, l’emozione è enorme, gli operai escono dalle fabbriche. Si sa che hanno ammazzato «un sindacalista», ma non si sa ancora chi. Poi qualcuno ricorda la storia di Berardi, e la gente capisce: Guido Rossa ha cominciato a morire quando ha deciso di guidare il servizio di vigilanza contro il terrorismo nella fabbrica in cui lavorava.
Rivediamo le sequenze iniziali di questo dramma. All’Italsider e all’Ansaldo, la presenza di qualcuno che «fiancheggia» le Br è palpabile. Quando sparano al dirigente Lamberti, nel maggio scorso, e spiegano perché lo hanno fatto, i brigatisti dimostrano di sapere tutto sull’azienda. In ottobre, Rossa firma quasi certamente la propria condanna a morte. Da tempo sospetta di Francesco Berardi, un operaio degli altiforni poi promosso impiegato, ex militante di Lotta Continua.
Alla fine, lo blocca mentre ha con sé alcuni opuscoli delle Br e, assieme al Consiglio di Fabbrica, avverte i carabinieri. Da una perquisizione, saltano fuori i numeri di targa di alcuni dirigenti Italsider, annotati su un foglietto in possesso di Berardi.
Al processo per direttissima, Rossa è l’unico che ha il coraggio di presentarsi a testimoniare.
«Conferma le dichiarazioni rese in istruttoria?» «Confermo». Il delegato sindacale rimane in aula neppure un minuto, ma, appena lo vede, Berardi si volge verso il pubblico e lo indica con gli occhi e un cenno del capo a qualcuno che è tra i presenti. Berardi è condannato a quattro anni e viene rinchiuso nel supercarcere di Novara: proprio oggi doveva arrivargli la liquidazione che ha chiesto all’Italsider dopo il licenziamento.
Per Guido Rossa cominciano le telefonate anonime: «Te la faremo pagare». Convinto di avere fatto il proprio dovere di cittadino e di militante comunista, Rossa continua la sua attività come prima. Nel frattempo, le Br diffondono il Diario di lotta nelle fabbriche genovesi Ansaldo e Italsider, dove per la prima volta compare, in modo esplicito, lo slogan «individuare e smascherare il ruolo controrivoluzionario dei berlingueriani». Ancora una volta, è un’anticipazione chiara di quanto accadrà di lì a poco.
Chi ha ucciso Rossa si è servito quasi certamente di un furgone Fiat 850, parcheggiato qualche metro dietro la sua auto, con targhe rubate e il bollo di circolazione e il contrassegno assicurativo contraffatti. Gli inquirenti, che lo hanno esaminato, sono certi che gli attentatori siano rimasti nascosti nel veicolo per tutta la notte.
Le indagini, comunque, appaiono particolarmente difficili. Nessuno ha visto nulla. Qualcuno, compresa la moglie dell’assassinato ha sentito colpi di pistola, ma li ha scambiati per altri rumori. In questo modo, dal momento dell’attentato alla scoperta del corpo di Guido Rossa riverso nell’auto, fatta da un netturbino, è trascorsa quasi un’ora. «Troppo – dicono gli inquirenti – per poter avere qualche indicazione utile».
Genova si è scossa dal torpore un po’ pigro di queste giornate grigie e piene di pioggia, ma non più di quando ammazzarono Francesco Coco, l’8 giugno 1976, o Antonio Esposito, il 21 giugno scorso (1). Solo nelle fabbriche la rabbia è grande, ma lo sdegno di chi parla dell’assassinio si confonde con un rassegnato senso di impotenza nei confronti del terrorismo determinato anche dalla esiguità dei risultati raggiunti da chi indaga sui precedenti attentati.
Note: (1) Antonio Esposito. 36 anni, sposato e padre di due figli, ex capo dell’Antiterrorismo ligure, stava andando al lavoro sull’ autobus numero 15. che doveva condurlo al commissariato di Nervi di cui era dirigente, quando due terroristi lo uccisero con dieci colpi di pistola.