Corriere della Sera, 3 settembre 1948
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La lotta per il petrolio in Iran tra inglesi, russi e americani
Grande quanto mezza Europa continentale – eccettuata la Russia – segnata di deserti salati, di montagne da favola pietrose e brulle, con una popolazione di quindici milioni di abitanti di cui il novanta per cento muore pressoché di fame, la Persia è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Secondo i geologi contiene la maggior riserva di petrolio esistente sulla terra. Il pozzo n. 22 dei’Anglo Iranian Oil Company nel campo petroliero di Haft Kehl è forse il pozzo più produttivo del mondo, raggiungendo un totale di produzione annua di circa diecimila tonnellate. Lo stesso campo dì Haft Kehl è il secondo giacimento petrolifero del mondo con una produzione complessiva di nove milioni di tonnellate annue ricavate da 24 pozzi, mentre il primo del mondo, l’East Texas Field. produce 17 milioni di tonnellate annue ma da ben ventiquattromila pozzi. Il petrolio sale dal grembo di quella terra silenzioso, caldo, sospinto dalla forte pressione del gas senza che occorra nemmeno pomparlo.
Fino a poco tempo fa l’Iranian Oil Co. – e per essa il Governo britannico che ne possiede il 52,5 per cento delle azioni – aveva in mano l’intera produzione petrolifera sfruttata in Iran. Il 26 dicembre scorso, però, mentre i Russi venivano portati in giro con promesse di concessioni petrolifere nell’Azerbajian, la situazione dell’Anglo-Iranian subiva un lieve mutamento. Si trattava di un accordo firmato a Londra nel quale l’Anglo-Iranian si impegnava, per la prima volta a lunga scadenza, di rifornire società americane di petrolio iraniano. In cambio le società americane si impegnavano ad anticipare una certa somma di danaro per la costruzione di un oleodotto dal Golfo Persico al Mediterraneo, con sbocco possibilmente in Palestina. Naturalmente, se ne parlava come di un accordo tra privati, ma, nello stesso tempo, i commentatori politici britannici si affrettavano a dare alcuni consigli agli Stati Uniti nei riguardi della politica nel Medio Oriente. Non utima tra questi una certa modifica delle simpatie sionistiche americane in Palestina, una revisione dei rapporti con gli Stati arabi, e in particolare con re Ibn Saud, e, tra le righe, qualcuno faceva anche intravedere la possibilità di maggiori e ben rafforzate basi militari americane nel Medio Oriente allo scopo di poter salvaguardare e difendere gli interessi conquistati. Una specie di atto di battesimo, insomma, della partecipazione attiva americana alle vicende dell’ Iran. Il duello quindi non si svolge più soltanto tra le due antiche Potenze rivali: Inghilterra e Russia. L’America ora incrocia anch’essa la sua spada, forte dei suoi dollari, della sua missione militare e della sua partecipazione allo sfruttamento del petrolio. Uno sfruttamento parziale se si vuole. L’Anglo-Iranian costituisce ancora la più grande impresa industriale in Persia, ed è una potenza politica di primissimo ordine che ha fatto del Khuzistan la regione civilmente più progredita dell’Iran, ma è un’altra cosa da quando si sa che, in caso di emergenza, vi sono alle spalle i dollari americani. La Russia, dopo le vicende azerbaigiane, per il momento tace, nell’Azerbaijan regna la calma, ma non si sa mai che cosa da un momento all’altro possa accadere. La produzione petrolifera russa nel Caucaso, – ciò non è un mistero per nessuno – è in declino. A parte i danni subiti dagli attacchi tedeschi durante la guerra, i pozzi non rendono più come una volta.
Nel corso del secolo passato la Russia era alla testa della produzione petrolifera con oltre il cinquanta per cento della produzione mondiale. Ora essa ha il controllo dell’otto per cento della produzione mondiale contro l’ottantasei per cento della combinazione anglo-americano-olandese. Cifre che spiegano molte cose. D’altra parte, in alcune sue recenti dichiarazioni, Stalin ha espresso la necessità vitale di portare la produzione sovietica ad almeno sessanta milioni di tonnellate per il 1960. Una i cifra raggiungibile da un’indùstria che lavori in condizioni normali e possa continuare a disporre almeno delle presenti risorse naturali russe. Ma con risorse in via di esaurimento ed una deficienza di attrezzattura cui non è facile porre riparo, mentre si richiede invece sempre più complessa e necessaria man mano che la ricchezza delle risorse vien meno, la cifra appare utopistica.
In tal modo è facilmente comprensibile l’importanza che l’Iran assume per la Russia con le sue regioni settentrionali ancora intatte e ricche di promesse, con il suo olio dal facile sgorgo che risparmia supplementi di pompe con l’esperienza dei due pozzi trivellati a Soflan al tempo dell’occupazione delle truppe sovietiche, con la sua vicinanza che risparmia oleodotti e attrezzature e fa di due giacimenti un giacimento solo. In base a tutte queste considerazioni, l’accordo petrolifero russo-persiano aveva una sua forma allettatrice con un contratto di cinquanta anni, nei primi venticinque dei quali il quoziente maggiore dei dividendi sarebbe andato a favore dei Russi mentre nei secondi venticinque sarebbe stato diviso in parti eguali. Il contratto poi si arenò come si sono arenate le trattative per l’accordo commerciale. E nel primo caso – il secondo è tuttora un mistero – la colpa fu tutta dovuta alla invadenza sovietica in Azerbaijan che mise i buoni Iraniani in stato di allarme. I persiani, quelli leali e competenti sono i primi ad ammettere di non possedere né l’iniziativa, né l’organizzazione sufficienti a tenere in piedi da soli un’impresa come quella dello sfruttamento di regioni petrolifere, e avrebbero forse gradito accumulare nuovi dividendi mettendo di fronte una Potenza petrolifera del sud a un’altra Potenza petrolifera nel nord. Gli Iraniani tollerano con la loro sorridente noncuranza anche ingerenze politiche – ormai ci sono abituati – ma fino a un certo limite. Nel caso dell’Azerbaijan il limite venne sorpassato. Ma tutto non è finito, forse si entra solo adesso in una nuova fase. L’una contro l’altra ai lati di una stessa strada, come due cittadelle con i loro portali monumentali, i loro parchi e le loro villette, si fronteggiano, nella capitale iraniana, le mura dell’Ambasciata di Inghilterra e della Ambasciata di Russia. A queste due Ambasciate che si fronteggiano se ne è aggiunta una terza, l’americana, un po’ più giù, quasi di fronte alla banca nazionale sullo stesso lato dell’Ambasciata di Inghilterra. E questa sua ubicazione pare quasi un programma.