Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1948  settembre 03 Venerdì calendario

La lotta per il petrolio in Iran tra inglesi, russi e americani

Grande quanto mezza  Europa continentale – eccettuata la Russia – segnata di deserti salati, di montagne da favola pietrose e brulle, con una  popolazione di quindici milioni di abitanti di cui il novanta per cento muore pressoché di fame, la Persia è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Secondo i  geologi contiene la maggior riserva di petrolio esistente sulla terra. Il pozzo n. 22 dei’Anglo Iranian Oil Company nel campo  petroliero di Haft Kehl è forse il pozzo più produttivo del  mondo, raggiungendo un totale di produzione annua di circa  diecimila tonnellate. Lo stesso campo dì Haft Kehl è il secondo giacimento petrolifero del  mondo con una produzione  complessiva di nove milioni di  tonnellate annue ricavate da 24 pozzi, mentre il primo del mondo, l’East Texas Field. produce 17 milioni di tonnellate  annue ma da ben ventiquattromila pozzi. Il petrolio sale dal grembo di quella terra  silenzioso, caldo, sospinto dalla forte pressione del gas senza che  occorra nemmeno pomparlo.
Fino a poco tempo fa l’Iranian Oil Co. – e per essa il Governo britannico che ne possiede il 52,5 per cento delle azioni – aveva in mano l’intera produzione petrolifera sfruttata in Iran. Il 26 dicembre scorso, però, mentre i Russi venivano portati in giro con promesse di concessioni petrolifere nell’Azerbajian, la situazione  dell’Anglo-Iranian subiva un lieve mutamento. Si trattava di un accordo firmato a Londra nel quale l’Anglo-Iranian si  impegnava, per la prima volta a lunga scadenza, di rifornire  società americane di petrolio  iraniano. In cambio le società  americane si impegnavano ad anticipare una certa somma di danaro per la costruzione di un oleodotto dal Golfo Persico al Mediterraneo, con sbocco  possibilmente in Palestina.  Naturalmente, se ne parlava come di un accordo tra privati, ma,  nello stesso tempo, i  commentatori politici britannici si  affrettavano a dare alcuni consigli agli Stati Uniti nei riguardi della politica nel Medio  Oriente. Non utima tra questi una certa modifica delle simpatie sionistiche americane in  Palestina, una revisione dei  rapporti con gli Stati arabi, e in  particolare con re Ibn Saud, e, tra le righe, qualcuno faceva  anche intravedere la possibilità di maggiori e ben rafforzate basi militari americane nel Medio Oriente allo scopo di poter  salvaguardare e difendere gli  interessi conquistati. Una specie di atto di battesimo, insomma, della partecipazione attiva americana alle vicende dell’ Iran. Il duello quindi non si svolge più soltanto tra le due  antiche Potenze rivali: Inghilterra e Russia. L’America ora incrocia anch’essa la sua spada, forte dei suoi dollari, della sua missione militare e della sua partecipazione allo  sfruttamento del petrolio. Uno  sfruttamento parziale se si vuole. L’Anglo-Iranian costituisce ancora la più grande impresa  industriale in Persia, ed è una potenza politica di primissimo ordine che ha fatto del  Khuzistan la regione civilmente più progredita dell’Iran, ma è un’altra cosa da quando si sa che, in caso di emergenza, vi sono alle spalle i dollari americani. La Russia, dopo le vicende azerbaigiane, per il momento tace, nell’Azerbaijan regna la calma, ma non si sa mai che cosa da un momento all’altro possa accadere. La produzione petrolifera russa nel Caucaso, – ciò non è un mistero per nessuno – è in declino. A  parte i danni subiti dagli attacchi tedeschi durante la guerra, i pozzi non rendono più come una volta.
Nel corso del secolo passato la Russia era alla testa della produzione petrolifera con oltre il cinquanta per cento della produzione mondiale. Ora essa ha il controllo  dell’otto per cento della  produzione mondiale contro  l’ottantasei per cento della combinazione anglo-americano-olandese. Cifre che spiegano molte cose. D’altra parte, in alcune sue recenti dichiarazioni, Stalin ha espresso la necessità vitale di portare la produzione sovietica ad almeno sessanta milioni di tonnellate per il 1960. Una i cifra raggiungibile da un’indùstria che lavori in condizioni normali e possa continuare a disporre almeno delle presenti risorse naturali russe. Ma con risorse in via di esaurimento ed una deficienza di attrezzattura cui non è facile porre riparo, mentre si richiede invece sempre più complessa e necessaria man mano che la ricchezza delle risorse vien meno, la cifra appare utopistica.
In tal modo è facilmente comprensibile l’importanza che l’Iran assume per la  Russia con le sue regioni  settentrionali ancora intatte e ricche di promesse, con il suo olio dal facile sgorgo che risparmia supplementi di pompe con l’esperienza dei due pozzi trivellati a Soflan al tempo dell’occupazione delle truppe sovietiche, con la sua vicinanza che risparmia oleodotti e attrezzature e fa di due giacimenti un giacimento solo. In base a tutte queste considerazioni, l’accordo petrolifero russo-persiano aveva una sua forma allettatrice con un contratto di cinquanta anni, nei primi venticinque dei quali il quoziente maggiore dei dividendi sarebbe andato a favore dei Russi  mentre nei secondi venticinque sarebbe stato diviso in parti  eguali. Il contratto poi si arenò  come si sono arenate le  trattative per l’accordo commerciale. E nel primo caso – il  secondo è tuttora un mistero – la colpa fu tutta dovuta alla  invadenza sovietica in Azerbaijan che mise i buoni Iraniani in stato di allarme. I  persiani, quelli leali e competenti  sono i primi ad ammettere di non possedere né l’iniziativa, né l’organizzazione sufficienti a tenere in piedi da soli un’impresa come quella dello sfruttamento di regioni petrolifere, e avrebbero forse gradito  accumulare nuovi dividendi mettendo di fronte una Potenza  petrolifera del sud a un’altra  Potenza petrolifera nel nord. Gli Iraniani tollerano con la loro sorridente noncuranza anche ingerenze politiche – ormai ci sono abituati – ma fino a un certo limite. Nel caso  dell’Azerbaijan il limite venne  sorpassato. Ma tutto non è finito, forse si entra solo adesso in una  nuova fase. L’una contro l’altra ai lati di una stessa strada, come due cittadelle con i loro portali monumentali, i loro parchi e le loro villette, si fronteggiano, nella capitale iraniana, le  mura dell’Ambasciata di  Inghilterra e della Ambasciata di Russia. A queste due Ambasciate che si fronteggiano se ne è  aggiunta una terza, l’americana, un po’ più giù, quasi di fronte alla banca nazionale sullo  stesso lato dell’Ambasciata di  Inghilterra. E questa sua  ubicazione pare quasi un programma.