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 1948  luglio 26 Lunedì calendario

Il carattere del popolo persiano

La storiellina in tono da apologo la narrava ad un ricevimento privato un vecchio governatore di provincia a riposo, proprio nel bel mezzo di una discussione sull’inframettenza straniera nell’ Iran e particolarmente sulle ultime note di  protesta irano-sovietichc. Le note di protesta nell’Iran sono all’ordine del giorno. A nord-est con la Russia per ben conosciute  ragioni, a nord-ovest con la  Turchia per antiche ruggini  politico-religiose, ad ovest con l’Iraq per la questione dei santi  luoghi sciiti, ad est con  l’Afganislan per le deviate acque del fiume Hirmand; a sud con  l’Inghilterra per le rivendicazioni sulle isole Bahrein, la  Persia litiga un po’ da tutte le parti. Ma lo fa amabilmente e senza  troppo impegno. E così anche il  vecchio governatore – fumatore di oppio ma con moderazione,  corrompibile ma con eleganza, donnaiolo ma con  discernimento – colorava la cosa di una sua arguta filosofia.
«Inframmettenza straniera? – diceva. – Benissimo.  Immaginatevi la Persia come una  noce. Una noce dura a rompere. L’unico modo di penetrarvi è praticare un forellino nel  guscio. Voialtri stranieri siete  come degli insetti dal becco  appuntito. Lavorate e lavorate  finche non avete bucato il guscio e siete entrati dentro. Una  volta dentro trovate il frutto  delizioso. E allora giù a  mangiare, ad ingrassare, a gonfiarvi. Poi, a un certo momento, si  capisce, ne volete venir fuori. Ma ecco che non e più possibile. Siete diventati troppo grassi per passare da quel forellino. E  allora non resta altro che fare la fame, dimagrire, depositare il guadagnato e uscire per la stessa via dalla quale si è  entrati»
Poteva sembrare una  storiella elaborata e assurda, a  prima vista, e cosi infatti apparve a me, novellina di due  settimane di Persia. Ma in due  settimane, della Persia non si può capire niente. E nemmeno in due mesi. Occorre molto di più per penetrare nel delicato  intrico della psicologia del popolo persiano, senza conoscere la quale è impossibile cercar di comprendere la politica del  Paese; occorreva molto di più per dare ragione al vecchio  governatore. La Persia è la terra  dell’inafferrabile,  dell’imponderabile, del fardà (domani) dove  tutto può accadere e sembra che non accada mai niente.  L’assurda storia della bcstiolina nella noce non era poi tale se si  pensava ai ventun milioni di sterline l’anno che i Britannici  depositano nel capace grembo del Paese in cambio delle  concessioni petrolifere e ai diritti sempre maggiori che la Persia  accampa in proposito.
«I Russi ci potrebbero  invadere da un momento all’altro – mi diceva un giorno un  cortese funzionario ministeriale che a tempo perso faceva  l’archeologo. – D’accordo. Non  sarebbe la prima invasione. Da secoli siamo stati invasi da  tutte le parti. Ma c’è più pericolo in tal caso che i Russi si  trasformino in Persiani di quanto ce ne sia per i Persiani di  trasformarsi in Russi. Perché la nostra forza è proprio in questo, nella nostra deprecata  debolezza, nella mancanza di carattere, nella nostra piacevole vita con la sua corruzione, il suo oppio, il suo tè e il suo «eb nist». L’eb nist (fa niente) persiano batte in pieno il nicevò russo. Con il suo eb nist e il suo fardà il persiano vive tranquillo ai margini di un incendio lì dove altri popoli tremerebbero dal terrore o sarebbero già  maciullati. 1 Russi potrebbero  marciare quando lo volessero fino a Teheran. Ma non lo vogliono. Per molte ragioni interne ed  esterne a loro non conviene. Quando lo volessero non  avrebbero che a farlo, e allora – Anglo- Americani permettendo – comincerebbe un’impresa  davvero disperante; quella di  cercare di dar forma a della  gomma clastica. Gli Inglesi possono manovrare in segreto e pagare ora l’una ora l’altra tribù. Ma la sorpresa che questa tribù può riservare all’indomani nessuno può dirlo. È il caso, per  esempio, dei qasqaì, i quali, dopo  essere stati i più fedeli agenti germanici ed essere passati  attraverso una crisi  filobritannica, si sono adesso dati anima e corpo agli Americani. Fino a quando, chissà. Il che, se si vuole, è un modo lodevole come un altro di conservare un  proprio spirito nazionale.
E può essere anche bello. Ma guai a seguire la traccia di una logica europea, guai a cercare di rintracciare nella Persia ciò che viene di solito descritto in Europa: i grandi cozzi e le grandi correnti, le grandi  insidie e le grandi minacce, il  tutto in forma cinematografica e spettacolare. Un Europeo che voglia vedere la situazione  sotto tale aspetto non riesce ad afferrare la forma di niente, e dopo un mese di permanenza si sente trascinato alla pazzia. Perché in fondo in Persia non esiste niente: o meglio  esistono quindici, venti grandi  famiglie completate da un certo  numero di uomini politici che  giostrano tra loro accoppiandosi o combattendosi di volta in volta secondo le circostanze, e  magari – radunando le genti dei propri villaggi – inventano un partito che svanisce non  appena il compito di portare la persona al potere è condotto a termine. Esempio il caso di Qavvam Saltanè con il  partito Dcmocrat Iran. Conoscere la politica dell’ Iran vuol dire conoscere i fatti privati di tutte le persone che si  occupano di politica. Allora soltanto si può ascoltare senza venir meno dalla meraviglia un  elemento di estrema sinistra,  redattore di un proclamato giornale rosso, tessere l’elogio di un ex-ministro di estrema  destra bollato emissario  britannico, come capitò a me una  volta durante una intervista con quella che pensavo potesse  essere «l’altra campana». Un Togliatti, insomma, osannante al papa. In quel momento  l’interesse dell’uno coincideva con quello dell’altro, per fatti  personali – risentimenti comuni nei riguardi della corte – e l’altra campana perciò  rimaneva muta. Cosa naturalissima. Tutto ciò a comprenderlo  occorrono mesi; a giudicarlo, la conoscenza di un passato di lunghi anni. L’apparente  mancanza di veri principi, la  pieghevolezza all’interesse  occasionale, la facilità alla  corruzione, hanno radici in una  tradizione di necessaria segreta difesa. Quella che ha permesso alla Persia di sopravvivere. Per secoli la Persia è stata campo di invasioni, di intrighi, di  corruzioni da parte di Potenze  arabe, mongole, indiane,  europee. Per secoli i Persiani si  sono piegati, hanno accettato il danaro, hanno sorriso – lisci, levigati, squisiti come le loro miniature – colorandosi di volta in volta alla luce del  dominatore. Il dominatore è  passato, essi sono rimasti
Cosi pigro, povero,  decadente, trascurato, scettico il popolo persiano è incredibilmente  vivo. Ognuno ha in sè come una oscura forza data da un  diverso peso di valori su tutti altri piani, da un’immobilità  interiore che attinge a millenarie sorgenti. Le cose del giorno mutano con il giorno e nulla e tutto esiste. Gente che muore di fame e passeggia per le vie dei villaggi, una rosa tra i  denti, un mazzolino di fiori in  mano. Pastori analfabeti, dispersi tra le montagne, che non  sanno il nome del paese più  vicino e declamano cesellati versi di Saadi e Hafiz.