la Repubblica, 4 maggio 2017
I poeti-operai nelle fabbriche dei telefonini
PECHINO. Quando gli hanno riportato a casa le ceneri del suo ragazzo, il papà di Xu Lizhi, il poeta operaio e suicida della Foxconn, la fabbrica di Taiwan che costruisce in Cina gli iPhone, è sbottato: «Se non fosse morto non avremmo mai saputo che scriveva poesie». Xu Lizhi, oggi, campeggia nelle antologie di (quasi) tutto il mondo: ma quanti papà disperati, stravolti dall’angoscia di quei figli partiti a cercare fortuna, potranno mai scoprire, un giorno, che le loro libellule sono rinate farfalle? La favola triste di Xu Lizhi rivive adesso che Iron Moon, il film di Qin Xiaoyou e Wu Feiyue sui poeti operai della Cina, è diventato un’antologia che esce negli Usa. Ma non è certo una questione di letteratura: la vicenda dei poeti- operai cinesi, al di là di libri e film, interroga le coscienze di mezzo mondo.
Intanto va fatta ancora una volta giustizia per Xu Lizhi, il ragazzo che prima di gettarsi dal dormitorio della Foxconn aveva scritto, poeticamente lucido: «Ero ok quando sono arrivato, sono ok adesso che lascio». L’azienda oggi si difende dicendo che aveva attivato, per tutti i dipendenti, un call center 24 ore su 24: come se il Giovane Werther, ai suoi tempi, fosse tornato sul campo di battaglia dopo essere stato rincuorato dal numero verde.
La verità è che Xu era un poeta vero, e anche un ragazzo istruito, che aveva chiesto (inutilmente) a Foxconn di venire impiegato quantomeno nella biblioteca aziendale. E quindi certo che il suo è un caso, poeticamente parlando, davvero eccezionale. Ma le altre voci di questa “Luna d’acciaio” non sono da meno. Scrive il blog LitHub che sono tantissimi gli operai raccolti intorno alla Workers Poetry Alliance che produce un ricchissimo sito. E prende vita, manco a dirlo, sugli iPhone di ciascuno: perché qui in Cina, 720 milioni di internauti su 1 miliardo e 340 milioni di abitanti, i telefonini sono un vero computer portatile, visto che il pc non è diffuso come da noi, e quindi se vuoi buttare giù qualcosa è qui, sullo schermo assemblato dalla Foxconn, e non già nella cameretta (“che già fosti un porto”) che tutto nasce.
Certo tra scrivere una poesia con l’iPhone e scrivere una poesia sull’i-Phone ce ne passa. «Un’altra vite s’è spanata / un altro fratello immigrato si è buttato via», dice Zhou Qizao, compagno di lavoro, all’indomani del suicidio di Xu. E quanti poeti-operai dovranno ancora morire per riscattare tutti i nostri smartphone?