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 1979  febbraio 17 Sabato calendario

E’ cominciata la corsa ai prezzi

L’Italia è già a corto di petrolio e non lo sapeva. Questa una delle due conclusioni a sorpresa di una riunione interministeriale svoltasi ieri al ministero degli Esteri. L’altra sorpresa è che all’origine della speculazione al rialzo dei prezzi del petrolio sono due paesi occidentali, Inghilterra e Norvegia. A medio termine, e cioè fra sei-sette mesi, non si prevedono grossi problemi per l’Italia, ma nell’immediato l’approvvigionamento di petrolio si è già ridotto in misura eccessiva. Il conto è stato fatto rapidamente. Ci manca il petrolio dall’Iran, quello che la Sir comprava dal Kuwait, il 5 per cento in meno delle previste forniture libiche e qualche carico di petrolio sovietico. Si aggiunga che i consumi sono aumentati più del previsto. Il risultato è che ci manca un buon 20 per cento del petrolio di cui avremmo bisogno : circa 20 milioni di tonnellate nell’arco dell’anno. La situazione ideale per la speculazione che sta imperversando sui prezzi. È una minaccia seria alla ripresa della produzione del nostro paese.
I conti con Inghilterra e Norvegia verranno fatti all’Agenzia Internazionale per l’Energia, l’organismo parigino che raggruppa i paesi industrializzati occidentali, il nostro ministero degli Esteri intende protestare vivacemente. Gli «arabi dagli occhi blu» (1) si sono fatti forti della decisione dell’Opec di aumentare i prezzi un mese e mezzo fa, e li hanno aumentati anche loro. Ma di un buon 7 per cento in più di quanto abbia fatto l’Opec, esattamente 86 centesimi di dollaro il barile (6,3 dollari la tonnellata). Hanno applicato – così si giustificano – un «sovrapprezzo» perché il loro petrolio è «leggero», e quindi più pregiato.
La protesta sarà platonica. Ormai, infatti, il guasto è irreparabile; un nuovo aumento c’è già stato e non sembra finita. Sull’esempio anglo-norvegese l’Arabia Saudita ha rincarato il greggio che sta producendo «in conto Iran» e cioè in più rispetto ai suoi piani iniziali. Analoga decisione hanno preso l’altro ieri Abu Dhabi e Qatar, produttori anch’essi di greggi «leggeri». Tutti ora prevedono che sulla stessa strada si metteranno Libia, Algeria, Nigeria e Indonesia, anch’essi produttori di greggio leggero. Il risultato sarà – considerata la parte che questi greggi hanno nei consumi globali di petrolio – un aumento del 5 per cento.
Ma non basta. Tra smentite e conferme è ormai certo che l’Opec terrà entro marzo una conferenza straordinaria. I grandi produttori di petrolio sono disturbati dai superprofitti che le compagnie stanno realizzando nel timore di una crisi, e vorrebbero «rimettere in ordine le cose». E cioè aumentare loro stessi di nuovo i prezzi. Ai paesi Opec si aggregherebbero, questa volta ufficialmente, anche Inghilterra e Norvegia. Il ministro britannico dell’Energia Anthony Wedgewood Benn, molto di sinistra ma molto nazionalista, sta infatti tentando di organizzare a Londra una conferenza congiunta con l’Opec.
Il periodo di riflessione che il ministro dell’Industria Prodi si è preso, per tentare una soluzione internazionale concordata e per vederci più chiaro nel mercato, è una giusta linea di difesa contro le pressioni speculative, ma non sembra possa salvarci dal peggio. Si pensa sempre più seriamente ad un aumento della benzina. Il prezzo attuale (2) è stato deciso nel 1976: tenuto conto dell’inflazione oggi pagheremmo la benzina – questo il calcolo ai alcuni consulenti ministeriali – a non più di 340 lire, al valore del 1976.
Contro un aumento gioca l’incertezza politica. Esso consisterebbe infatti, in tutto o in parte, di tasse, e andrebbe quindi approvato dal Parlamento, cosa alquanto spinosa se si dovesse andare alle elezioni. Ma il provvedimento è ritenuto necessario per due motivi: incrementare le entrate e scoraggiare i consumi, che stanno salendo a ritmi vertiginosi.
Tutti i calcoli fatti finora sulla dimensione del «buco» iraniano venivano riferiti ai consumi passati. Nella riunione interministeriale di ieri agli Esteri è cominciata però ad emergere un’altra verità: i consumi sono in aumento e sarà difficile reperire il petrolio necessario a soddisfarli. I consumi aumentano, infatti, dappertutto. Gli Stati Uniti da soli hanno importato nel mese di gennaio 26,5 milioni di tonnellate in più rispetto al gennaio 1978.
In Italia dovremmo consumare quest’anno, ha detto Prodi alla televisione, 104 milioni di tonnellate. L’anno scorso ne abbiamo consumate poco meno di 100 milioni di tonnellate. La cifra data da Prodi rappresenta dunque un aumento del 4 per cento.
Ma il ministro ha dato probabilmente la previsione contenuta nel piano energetico, che è vecchio di due anni, e comunque è una previsione sicuramente in difetto. A gennaio abbiamo già consumato il 10 per cento in più. Oltre 110 milioni di tonnellate che ci verranno a mancare per la chiusura dei pozzi iraniani bisognerà quindi reperirne altrettanti per i nuovi consumi. L’Eni ne fornirà 4. Resta un «buco» di 16 milioni di tonnellate, di reperimento molto difficile nella situazione attuale.
C’è poi da aggiungere che fra gli stessi operatori c’è molto scetticismo sul ventilato ricorso alle scorte per alleggerire la situazione. Il ministro Prodi ha detto in televisione che c’è una grossa riserva – le scorte obbligatorie appunto – cui attingere in caso di crisi. Le scorte devono equivalere per legge a 90 giorni di consumi. Prodi ha detto che questa riserva c’è sicuramente, perché l’ha fatta controllare recentemente. Ma fra gli stessi petrolieri ci sono molti dubbi che, se il controllo è stato fatto realmente, il risultato sia quello indicato dal ministro.

Note: (1) Cioè i paesi occidentali produttori di petrolio, come, appunto, la Norvegia e la Gran Bretagna. (2) In quel momento un litro di super costava 500 lire.