Dieci anni di Repubblica, 12 luglio 1979
E’ in pericolo la democrazia
Eccolo qua, l’onesto Zaccagnini. Sta per andare dal presidente incaricato e per la prima volta nella sua carriera, al di là del tavolo troverà un socialista. Il guaio imprevisto non sembra abbattere Zac. Anzi, quasi lo ringiovanisce, gli spiana le rughe, gli rende più franco il sorriso. Un sorriso, però, assolutamente muto. Zaccagnini non vuol parlare. Una pacca sulle spalle, una stretta di mano e poi via.
In compenso, parla qualcuno dei suoi. Con chiarezza esasperata, dice una cosa: piazza del Gesù è uscita dai gangheri e teme che l’incarico a Craxi sia l’innesco di un processo politico nuovo, con profonde ripercussioni della Dc.
Che cosa sta accadendo?
«Pertini ha fatto quasi un «golpetto». Ci aveva parlato di Visentini e poi di Piccoli. Mai di Craxi. E invece è spuntato Bettino. Un uomo pericoloso. Non per la Democrazia Cristiana, ma per la democrazia italiana».
Perché mai?
«Dietro a tutto questo c’è un disegno che parte da lontano e con due obiettivi. Quello immediato è far fuori la segreteria Zaccagnini. Poi verrà il tentativo più grosso: distruggere la Dc come partito popolare per trasformarla in un raggruppamento laico-moderato. La vittoria di Craxi sarebbe la vittoria di chi persegue questi due disegni».
Una congiura, insomma. E chi sono i congiurati?
«Tanto per cominciare autorevoli personaggi del grande capitale: per esempio, Umberto Agnelli. Poi la massoneria. Quindi certi palazzinari. E poi ancora Eugenio Cefis».
Sempre lui? Ma non s’era ritirato?
«Macché! È stato in attività per tutta la campagna elettorale a favore dei Cento, dei bisagliani, dei fanfaniani duri, di tutti quelli che sono contro di noi. Del resto, basta vedere quanto è accaduto in Confindustria prima del 3 giugno».
Che cosa è accaduto?
«Di solito alla vigilia di ogni campagna, la Confindustria stabiliva di dare dei contributi ai partiti democratici. Questa volta è intervenuto Agnelli e ha detto: «alt!, niente soldi alla Dc, finanzieremo solo i candidati che diciamo noi, liberali, bisagliani, destra, Dc. Ne è venuta fuori una campagna dispendiosa e sputtanante. Abbiamo perso voti anche per questo».
E i congiurati democristiani?
«Quelli che partecipano coscienti al disegno di far fuori Zac e snaturare la Dc sono Bisaglia, Mazzotta, gli uomini legati ad Umberto Agnelli. E poi, toh!, ci ho pure un sospetto su Pandolfi. Fanfani? Non so se sia partecipe. Ma è Bisaglia l’elemento attivo. È lui che già in campagna elettorale, con Fanfani, ha diffuso la cultura del presidente socialista. Zac li aveva richiamati. E adesso voi dite che la Dc è all’8 settembre per colpa di Zac! Cose da pazzi!».
E Donat-Cattin?
«A forza di picchiare sulla segreteria Zaccagnini, ha perso il ben dell’intelletto. Credo che lo stiano strumentalizzando. Nella congiura c’è caduto da coglione».
E Piccoli?
«È molto prudente e certamente più leale. Forse spera che se fallisce Craxi, palazzo Chigi tocchi a lui. Ma quello che demoralizza è il conformismo dei giornali. Tutti con Craxi! Del resto, la Sipra (1) è in mano ai fantasmi e Rizzoli sta con la grande destra. A proposito, chiamatemi Di Bella! Pronto Corriere? C’è Di Bella? No? Richiameremo. Vede, noi siamo dei poveretti disarmati. Il gruppo Zac non è capace di certi giochi. Gli altri, invece, sono bravissimi. Il primo colpo ce l’hanno dato con Gerardo Bianco; adesso cercano di fare il bis con Craxi!».
Che forza avete ancora nel partito?
«La Dc è divisa, però noi dovremmo essere in maggioranza. Vedremo in Direzione, anche se certe cose non si decidono con uno scarto di un voto o due... Nel partito, però, e nella base elettorale, siamo il 70 o l’80 per cento. Nella nostra base il socialista non è popolare. E sa perché? Perché in questo paese il vero arrogante è il Psi, non la Dc! Dove sta scritto che con il 10 per cento dei voti si ha il presidente della Repubblica, quello del Consiglio, della Corte Costituzionale, la reggenza della Corte dei conti, la Rai, l’Eni, la Banca Nazionale del Lavoro... Persino al Coni adesso c’è il socialista, come si chiama?, quel Carraro! (2)».
E la base de come si esprime?
«Con questi telegrammi a Zac. Vado a leggere: «Non cedere ricatto Psi»; «Se passa linea Donat-Cattin-Bisaglia con presidenza Craxi restituiremo tessere»; «Invitola respingere tentativo di chi ha sabotato Andreotti»; «Incarico Craxi est offensivo nostri 14 milioni di voti»; «Vivamente indignati preghiamo dire no al 10 per cento più arrogante d’Italia».
Ne stanno arrivando tanti?
«Tantissimi. Ce n’è già un quintale. Più che ai tempi di Moro. Beh, diciamo come ai tempi di Moro (3)».
Note: (1) La Sipra (Società italiana pubblicità per azioni) gestiva la pubblicità radiotelevisiva. (2) Il presidente della Corte costituzionale era Leonetto Amadei, il reggente della Corte dei conti (poi nominato presidente della stessa) era Ettore Costa, la Rai era presieduta da Paolo Grassi, l’Eni da Gioraio Mazzanti, la Banca Nazionale del Lavoro da Nerio Nesi. (3) Il tentativo di Craxi fallì per la netta opposizione del segretario dc Benigno Zaccagnini. Il segretario socialista «si vendicò» mandando a monte il tentativo successivo del dc Filippo Maria Pandolfi. Infine Francesco Cossiga varò un tripartito Dc-Psdi-Pli che si reggeva grazie all’astensione di socialisti e repubblicani.