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 1979  luglio 10 Martedì calendario

La prima volta di Bettino Craxi

Craxi. Per la prima volta nella storia d’Italia un socialista, il segretario del Partito socialista, è stato incaricato dal Capo dello Stato di formare il governo. Craxi ha accettato con riserva.
«Mi accingo a svolgere questo compito», ha detto il leader del Psi dopo il suo colloquio con Pertini, «nella consapevolezza delle difficoltà. Mi auguro di poter raccogliere i consensi necessari e di ottenere la collaborazione di un vasto arco di forze politiche, democratiche e di progresso, lungo la direttrice che dovrebbe portare alla soluzione di problemi che l’opinione pubblica democratica, le forze del mondo del lavoro e della produzione considerano essenziali e vitali, la cui soluzione è vitale per l’avvenire dei paese». Craxi ha poi ribadito che le incognite interne ed internazionali rendono più acuta l’esigenza «di un periodo di stabilità, di governabilità, di rinnovamento e di riforme».
Subito dopo, il leader socialista, come vuole la consuetudine, si è recato a comunicare a Fanfani e alla Jotti, presidenti delle Camere, la notizia dell’incarico avuto. I giornalisti non gli hanno dato tregua e il segretario del Psi ha finito per rispondere ad alcune domande.
Questo incarico se lo aspettava?
«Francamente no. È stata una sorpresa anche per me».
Il suo nome, però, circolava da due giorni.
«Non ero io a farlo circolare».
Il presidente Pertini le ha telefonato a Milano?
«Sì, mi ha chiamato stamattina. Per la verità, mi ha buttato giù dal letto. Ma non credevo che fosse per questo».
La clamorosa notizia dell’incarico a Craxi è stata ufficializzata da un «flash» dell’Ansa alle 17.27 di ieri; ma, dopo una giornata di incertezze, di indiscrezioni e di smentite, già circolava nei corridoi di Montecitorio da qualche minuto. Ha comunque colto tutti di sorpresa; a piazza del Gesù, per esempio, nessuno ne era informato.
Le ore che hanno preceduto la decisione di Pertini sono state confuse e nervose. Nella giornata di sabato, dopo le rapide consultazioni effettuate, il presidente della Repubblica aveva accertato alcuni elementi chiari.
1) Dei cinque partiti in un modo o nell’altro disponibili a sostenere un governo, quattro avevano espresso la loro preferenza per un candidato non democristiano, e la Dc non poneva preclusioni.
2) Socialdemocratici, repubblicani e liberali ponevano però una condizione precisa: nel caso di un presidente laico, i socialisti dovevano garantire un appoggio e non già limitarsi alla ventilata astensione. La Dc chiedeva addirittura che i socialisti entrassero nel governo.
3) Questa richiesta della Dc aveva l’evidente scopo di far fallire l’ipotesi: i socialisti avevano ripetutamente affermato che non sarebbero entrati nel governo.
4) I democristiani non volevano che, dopo il fallimento di Andreotti (1), il nuovo incarico toccasse ad un altro dei loro: rischiavano di «bruciare» anche quello (e si trattava del loro presidente, Piccoli) perché molto difficilmente Craxi avrebbe potuto sostenere Andreotti. Volevano, cioè, che fra il tentativo di Andreotti e un altro tentativo democristiano ci fosse il «sacrificio» di un laico.
5) Craxi «preferiva» il laico. Ma chi? Fra i laici di peso, l’unico con tutte le carte in regola appariva Visentini. E le posizioni di Visentini, soprattutto per quanto riguarda la politica economica, sono assai distanti da quelle del Psi. Gli stessi socialisti, già incerti sul problema, avrebbero molto probabilmente, nel caso specifico, fatto naufragare il tentativo.
In possesso di questi dati, Pertini ha riflettuto per tutta la giornata di domenica, a Castelporziano. Ha voluto avere delle conferme esplicite, sondare gli ultimi spiragli e controllare le ultime incertezze. Ha avuto un colloquio con Piccoli, che era accompagnato da Gerardo Bianco. E Piccoli gli ha confermato che la Dc voleva l’«appoggio pieno» dei socialisti per consentire l’«operazione laico». «La Dc è disposta a rinunciare alla presidenza del Consiglio», ha detto Piccoli al Capo dello Stato, «ma vuole almeno la garanzia che ciò serva a garantire al paese un governo serio e stabile». Pertini gli ha chiesto se allora era disponibile per tentare lui stesso. Ma Piccoli ha ribadito che la Dc non poteva permettersi un secondo fallimento e che quindi voleva dai socialisti almeno la garanzia preventiva di un loro ingresso nella maggioranza.
Pertini si è allora messo in contatto con Visentini. Nel pomeriggio di domenica e nella mattinata di ieri si è sparsa la notizia che il ministro repubblicano aveva accettato il «sacrificio», pur sapendo che la sorte del suo tentativo era segnata in partenza. Ma le indiscrezioni non erano esatte. Quando ieri mattina è stato chiamato dal Quirinale telefonicamente (il ministro repubblicano era a Venezia, dove partecipava ad un dibattito) Visentini è stato esplicito: se non si tratta di un «balletto» puramente formale sta bene, ma allora i socialisti devono essere disponibili ad entrare nel governo. Se si tratta soltanto di un gioco delle parti, come accadde a Ugo La Malfa, nemmeno a parlarne.
Ci si trovava, ancora una volta, di fronte a un’impasse apparentemente insuperabile. Pertini ha voluto riflettere ancora, ma la sua decisione è stata notevolmente rapida. Si rischiava uno stallo. Si rischiavano lungaggini e «passaggi intermedi» che avrebbero potuto complicare le cose e influire negativamente sull’opinione pubblica. Il Psi è stato il partito determinante, 1’«ago della bilancia», quando negò la fiducia al governo Andreotti, e lo è ora, come componente decisiva per una qualsiasi soluzione. Era giusto, dunque, che fosse lo stesso Psi ad assumersi, nell’unico modo possibile, una piena responsabilità.
Craxi è stato «buttato giù dal letto», come ha riferito, nella mattinata di ieri. Ha preso un aereo, che è giunto con un paio d’ore di ritardo, è sceso nel suo albergo romano, ha contattato rapidamente gli altri dirigenti del Psi e alle 15,30, insieme con Signorile, ha avuto un primo colloquio, informale, con Pertini. Era in blue-jeans. È poi tornato in albergo, se li è tolti, ha indossato un abito scuro ed è corso di nuovo al Quirinale.
Quando è uscito dallo studio di Pertini mezz’ora dopo, appariva emozionato. Più emozionati di lui i dirigenti democristiani: a piazza del Gesù, fino alle 17,30, nessuno immaginava quello che sarebbe accaduto. «È clamoroso, è clamoroso», è stato l’unico commento. Subito si è riunito tutto lo stato maggiore democristiano. Alla fine della riunione, nessuna dichiarazione. Ma il commento che compare stamane sul Popolo è significativo: prendendo a pretesto le dichiarazioni rilasciate dai radicali (Craxi dovrebbe varare un «governo di alternativa» e di Magri per il Pdup (Craxi «dovrebbe rifiutare ogni discriminazione a sinistra e proporre un governo realmente di svolta»), il quotidiano della Dc parla di forze «che si muovono in una sorta di prospettiva cilena». Se Craxi si muoverà nel segno dell’alternativa, continua il Popolo, «introdurrebbe elementi di grave equivoco politico» e la Dc sarebbe contraria.
Dai comunisti, per ora, nessun commento. Ma l’imbarazzo è evidente. L’Unità di stamane parla, nella sua cronaca politica, di «fatto nuovo e importante nello svolgimento della crisi», di «fatto di notevole rilievo, che sarebbe difficile sottovalutare» e che fa sembrare «sempre più irrealistica la riproposizione della centralità politica e istituzionale della Dc».
Emozione anche in casa socialista. Sostanzialmente, il partito è favorevole al tentativo del suo segretario, con l’eccezione di Riccardo Lombardi e del gruppo di De Martino.

Note: (1) Subito dopo le elezioni, Andresti aveva ricevuto da Pertini il terzo mandato per formare un nuovo governo. Neanche questa volta era riuscito nell’impresa.