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 1979  aprile 01 Domenica calendario

Cade Andreotti per un solo voto

Il quinto governo Andreotti è stato bocciato, al Senato, per un voto. Subito dopo, il Presidente del Consiglio è andato dal Capo dello Stato e si è dimesso. Domani mattina Pertini convocherà al Quirinale Fanfani e Ingrao, presidenti dei due rami del Parlamento, per una breve consultazione. Subito dopo, molto probabilmente, scioglierà le Camere. Sembra confermato che le elezioni politiche anticipate si svolgeranno il 9 e il 10 giugno, insieme con quelle europee.
Ecco i risultati della votazione, svoltasi ieri sera a Palazzo Madama.
Votanti 299
Maggioranza necessaria 150 
Voti a favore 149 
Voti contrari 150
L’esito è stato clamoroso, soprattutto perché fra i 22 senatori che risultavano assenti vi erano tre democristiani (Leone, Della Porta e Todini) e due socialdemocratici (Saragat e Occhipinti). Della Porta e Todini sono andreottiani e Occhipinti è addirittura
sottosegretario. Era assente anche un repubblicano, il premio Nobel Montale (è un indipendente di nomina presidenziale e non ha mai messo piede al Senato).
Fino all’ultimo momento, la sorte del voto è stata assai incerta. Tutto sarebbe dipeso dalle assenze nei vari gruppi. Sembrava comunque sulla base degli ultimi avvenimenti che, in un modo o nell’altro, almeno al Senato, Andreotti ce l’avrebbe fatta, sia pure per un paio di voti.
Democrazia nazionale era in subbuglio: i parlamentari di questo gruppo, che temono di essere spazzati via dalle elezioni, si erano ribellati al loro presidente Delfino. Questi proponeva soltanto di abbandonare l’aula, insieme con i liberali per evitare che Andreotti «discriminasse» i loro voti favorevoli, dimettendosi se gli avessero dato la maggioranza. Sembrava certo, perciò, che quasi tutti i demonazionali avrebbero votato a favore, assicurando così ad Andreotti il necessario «quorum».
Al momento del voto, i senatori di Dc erano tutti assenti. Ma quando si è arrivati al secondo appello (quello che recupera i voti di eventuali ritardatari) e il governo appariva battuto, soltanto tre di essi (Manno, Bonino e Pazienza) sono rientrati in aula, votando a favore, e un altro (Plebe) è rientrato per votare contro. Anche i due liberali, Bettiza e Balbo, come avevano preannunciato, non hanno partecipato al voto. Assenti anche una comunista (Bonazzola, ammalata), un socialista (Ferralasco, ammalato), un indipendente di sinistra (Branca, ammalato), un missino (Crollalanza, ammalato) e due senatori del gruppo misto: Merzagora e Zappulli. Ma queste erano assenze scontate.
Invece, la sorpresa è venuta non soltanto dell’assenza determinante dei democristiani e dal sottosegretario socialdemocratico (di Saragat si sapeva, perché questo governo non gli andava), ma anche dalla decisione di non votare a favore da parte dei due sudtirolesi Brugger e Mitterdorfer e del valdostano Fosson: tutti e tre si sono allontanati.
In serata i senatori democristiani Della Porta e Todini, assenti ingiustificati, sono stati deferiti al collegio dei probiviri dal comitato direttivo del gruppo Dc del Senato. Il dibattito che ha preceduto il voto è durato praticamente per tutta la giornata. Nella mattina si sono avuti gli ultimi interventi dei rappresentanti dei vari partiti: nel pomeriggio la replica di Andreotti, verso le 17, e le dichiarazioni di voto.
Ciò che ha colpito gli ascoltatori è stata l’assoluta differenza di tono e di impostazione fra il discorso pronunciato dal capogruppo dei senatori democristiani, il fanfaniano Bartolomei, e quello successivo del presidente del Consiglio. Una prova palpabile (soprattutto perché le due opinioni sono state pronunciate quasi contemporaneamente e nella stessa circostanza) della profonda frattura che oggi percorre tutta la Dc, dividendola in due settori antagonisti: quello che non vuole abbandonare la politica di solidarietà democratica che prevede raccordo con i comunisti, e quello che vuole abbandonare del tutto questa strada, puntando alla ricostituzione di un fronte di centro-sinistra se non addirittura centrista.
Bartolomei ha pronunciato un discorso nettamente anticomunista e tutto teso a lanciare appelli ai partiti minori e al Psi.
L’invito rivolto da Bartolomei al Psi è stato esplicito: «Sta maturando una situazione cne potrebbe essere il banco di prova per valutare la realtà effettiva delle divergenze tra socialisti e Dc da una parte, e tra Psi e comunisti dall’altra».
Di senso contrario, come s’è detto, il discorso di Andreotti. Garbata polemica con i socialisti («non c’è», ha detto, «nessun proposito machiavellico concordato tra Dc e Psi per «bruciare lo spazio al partito socialista») e ripetuta riaffermazione della validità della politica di solidarietà nazionale.
Ma la parte più interessante ai fini della conclusione della crisi di governo, Andreotti l’ha pronunciata rivolgendosi ai senatori altoatesini e al senatore valdostano Fosson. Invece di sollecitare il loro voto favorevole, ha detto di non poter «dare affidamenti» per quanto riguardava le loro richieste di «correzioni» politiche.