26 febbraio 1979
La gente è stanca della politica e chiede facce nuove
«D’accordo, i sondaggi, come le statistiche, appartengono alla «prima delle scienze inesatte», se c’è del vero nell’ironica definizione dei fratelli de Goncourt. Difficile è prevedere quel che faranno gli imprevedibili uomini, specialmente quando assumono il ruolo di elettori: il segreto del voto resta al di fuori di ogni zodiaco. Ma i dati del sondaggio L’Europeo-Doxa che abbiamo letto nei giorni scorsi, non sembrano proprio avventurose incognite, né “calcoli di nebbia” sulla carta di un futuro forse prossimo.
E’ stato chiesto: si dice che in Italia vi è una frattura tra paese reale e classe politica: secondo lei, è vero o no? Sommando le risposte “è vero” o “è abbastanza vero”, si arriva al 75 per cento degli intervistati. Altra domanda: in occasione delle prossime elezioni politiche normali o anticipate (o di quelle del Parlamento europeo), lei sarebbe favorevole alla formazione di liste apartitiche? Sommando i “molto favorevole” agli “abbastanza favorevole”, si va al 54 per cento degli intervistati, non dimenticando che i “non so”, gli indifferenti, i disponibili all’una o all’altra soluzione, sono il 25 per cento. Usciamo dalle sbarre dei numeri, chiediamoci piuttosto se questo è bla-bla qualunquistico o preciso scenario del malessere. Siamo per la seconda ipotesi. L’ Italia assomiglia ogni giorno di più a una platea che mormora in attesa di passare ai fischi: lo spettacolo è vecchio, la regia manca d’inventiva. E’ una situazione che dura da anni.
C’è un copione che non merita più nemmeno gli applausi di convenienza. Di esempi si potrebbero riempire tutte le pagine di questo giornale. Lo «scollamento» fra classe politica e paese reale ha radici antiche. Ma basta vivere qualche ora tra la gente, entrare in un ufficio, in un negozio, salire su un tram, per capire che la stanchezza è infinita, che lo spaccio degli slogan è in riserva. Si ha voglia di fatti, e invece il Potere nega i fatti.
Il rimedio potrebbe venire dalle «facce nuove»? Piace pensare e sperare che sia così. La platea mormora anche per questo. Una «società esigente», come la chiamava Aldo Moro; non si accontenta più invitandola al solito banchetto dei proclami e delle belle parole» (Giulio Nascimbeni sul Corriere della Sera)