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 1979  febbraio 23 Venerdì calendario

L’immondizia sommerge Londra

La città è ancora sommersa dai sacchi di immondizia, il freddo rallenta i movimenti del paese appena riemerso dall’alluvione sindacale che lo ha colpito nelle ultime settimane. Non è stato un vero e proprio sciopero generale, ma uno sciopero generalizzato, coerentemente alla mentalità nazionale aliena dalle astrazioni. Hanno scioperato praticamente tutti, dalle ambulanze e dai becchini fino ai trasportatori, in ordine alfabetico, una categoria dopo l’altra o a plotoni affiancati, e si sono viste cose inaccettabili, per la ragionevole, umanitaria Inghilterra: vecchi pensionati rimasti senza pasti caldi, malati respinti dagli ospedali, un piano di emergenza del municipio di Liverpool per seppellire i morti in mare.
L’aneddotica pubblicata nei giornali inglesi è sterminata. Le considerazioni che ne hanno tratto i giornali stranieri sono state addirittura catastrofiche. Dagli Stati Uniti sono giunti commenti sconsolati sull’ingovernabilità di quello che era stato il paese più obbediente ai suoi governi: sconsolati con un fondo di soddisfatta rivalsa, perché così, ha notato 1’«Observer», gli americani si sono convinti definitivamente di aver indovinato a fare la guerra di indipendenza, e si sono soprattutto rassicurati di averci indovinato a non diventare una socialdemocrazia. E dall’Europa hanno risuonato lamenti analoghi sulla sorte della grande malata d’oltremanica, sull’agonia del leone britannico appena pochi decenni fa così rampante, e sempre con quel sottinteso più o meno consolatorio che anche l’Inghilterra «è ormai diventata un paese come tutti gli altri».
Pare di essere tornati all’inverno del 1973-1974 – solo dal punto di vista climatico più mite di questo – quando lo sciopero dei minatori costrinse il paese ai turni di riscaldamento e di illuminazione, alla settimana lavorativa di tre giorni, e alle elezioni anticipate. Allora, il primo ministro conservatore Edward Heath, messo alle strette, si rivolse all’elettorato chiedendogli se a governare dovesse essere il governo eletto o i sindacati; e l’elettorato non gli rispose, nel senso che tolse la fiducia a lui senza darla al laburista Harold Wilson (il quale, dopo un lungo tira e molla, riuscì a formare un governo di minoranza che tale rimase dopo le nuove elezioni dell’autunno, e tale è tuttora), e decretando invece il decesso dell’agonizzante partito liberale con un voto che rivelava la stanchezza pubblica e la speranza in qualcosa di nuovo.
Questa mezza vittoria laburista fu in un certo senso una ripetizione della mezza vittoria conservatrice del 1951, che pose fine all’epoca delle grandi riforme postbelliche di Clement Attlee: «Il paese» scrisse allora il New Chronicle «si è liberato di un partito che non vuole in favore di un partito del quale non si fida». L’attesa generale è che nelle prossime elezioni di questo 1979 succeda altrettanto, e i tories tornino al governo in mancanza di meglio, con molti problemi, poche idee e nessuna prospettiva di migliore riuscita.
Vuol dire che, per quanto poco abbia ragione di fidarsi della signora Thatcher, la Gran Bretagna si fida ancor meno del primo ministro James Callaghan, o del partito laburista in generale, o del nuovo «concordato» stipulato in sostituzione del «Contratto sociale», franato in queste ultime settimane? (1). Non c’è nulla, in verità, che indichi una simile impennata di sfiducia dopo i due voti già così esitanti del 1974. Al contrario. Ora che la mareggiata degli scioperi si va calmando si resta perplessi dinanzi all’inventario dei danni economici e politici che essa ha provocato. Non si riesce a vederne con precisione né l’entità né le possibili conseguenze.
L’Economist, ad esempio, scrive che «non ha molto senso porsi come traguardo (secondo il «concordato», ndr.) un tasso d’inflazione del 5 per cento nel 1982 quando tutti sanno che, se il Trade Union Congress avesse sottoscritto il limite del 5 per cento agli aumenti salariali per quest’anno (come previsto dal «Contratto sociale», n.d.r.), un tasso d’inflazione vicino al 5 per cento lo si sarebbe potuto raggiungere già quest’anno». Ma nel 1974, quando Wilson tornò ad abitare al numero 10 di Downing Street, l’inflazione si accingeva a scavalcare il 20 per cento; quattro anni dopo, con il paterno governo di Callaghan, essa era scesa al di sotto del 10.
Ed è sufficiente passeggiare per le strade di Londra invase dai sacchi di immondizia, scrutare i negozi, i ristoranti, il vestiario della gente, le cilindrate delle automobili, il tono generale della vita, che ha largamente abbandonato la vecchia misura britannica per assumere una certa grandiosità italiana in materia di mance e di sprechi, per capire che, quali che siano gli irrisolti problemi economici di fondo del paese, il pubblico in generale da questi successi del governo ha tratto concreti benefici.
Callaghan, però, a differenza del suo predecessore celebre come incantatore di serpenti e trionfatore di tutte le battaglie perse, è uscito assai malconcio da quest’ultima burrasca. Il «concordato» che egli ora sventola come ultima bandiera rimastagli in questo clima di vigilia elettorale, somiglia sinistramente a un documento di resa senza condizioni: esso non fissa più alcun limite agli aumenti di salario, non contiene nessun riferimento alle agitazioni in corso né a quelle future. È una dichiarazione di intenti che non impegna nessuno a niente di preciso. «I sindacati», scrive ancora l’Economist, «non hanno concesso nulla. Essi hanno sfruttato in pieno la debolezza del governo laburista di minoranza, le battaglie in corso e quelle che si profilano sono ignorate nel pezzo di carta che Mr. Callaghan sta agitando. Perfino Chamberlain si preoccupava di portare un ombrello, e non solo di sventolare un pezzo di carta, quando si trovava in stato di guerra».
La guerra in corso, del quale quello che si sta concludendo non è stato che il primo scontro, è appunto tra governo laburista e sindacati, non fra opinione pubblica e governo laburista. Quest’ultimo è uscito perdente dal confronto, e il voto di bocciatura che l’elettorato minaccia di dargli, secondo le previsioni generali, indica tutt’altro che la volontà del paese di abbandonare la politica seguita finora. Esso indica più precisamente la volontà del paese di non restare coinvolto nella sconfitta.
La bocciatura, se ci sarà, non riguarderà, vale a dire, la politica dei redditi laburista nelle sue possibili versioni contrattuali o concordatarie, ma la capacità di Callaghan di mantenerla calda anche dinanzi ad ammutinamenti sindacali che s’annunciano d’ora in poi sempre più sfrenati e svincolati da qualsiasi realtà di partito. In fondo, sporgendosi dal mare di immondizia che ancora la ricopre e guardando a quello che succede nel continente europeo, la Gran Bretagna ha ancora ragione di non disperare del proprio futuro e di sorridere dei lamenti nostalgici di chi la vede diventata «un paese come tutti gli altri».

Note: (1) Grazie al «Contratto sociale», cioé all’alleanza con le Trade Unions, il governo minoritario di James Callaghan era riuscito per un certo tempo a governare la Gran Bretagna. L’alleanza col sindacato si era rotta in seguito alla necessità di intraprendere una politica severamente anti-inflazionista. che limitasse quindi gli aumenti salariali. Così il «contratto» si era rotto e con grande fatica Callaghan aveva raggiunto a metà febbraio un’intesa con i sindacati che prevedeva di arrivare al 5 per cento di inflazione entro il 1982 (quest’intesa era stata chiamata «concordato»). Il «concordato» aveva suscitato violente critiche da parte dei conservatori e anche da parte di alcune grosse organizzazioni sindacali aderenti alle Trade Unions, come quella degli autotrasporti e quella dei metalmeccanici.