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 1979  gennaio 10 Mercoledì calendario

Biografia di Pierluigi Nervi

Pierluigi Nervi, Sondrio, 21 giugno 1891 – Roma, 9 gennaio 1979
Suo padre era genovese, la madre, una Bartoli,  lombarda. Il futuro grande  architetto nacque a Sondrio, il 21 giugno 1891. La  fanciullezza e l’adolescenza le trascorse a Modena, dove suo padre era stato  trasferito, e vi fece gli studi  ginnasiali e liceali. A diciotto anni s’iscrisse all’università di Bologna; si laureò in ingegneria  civile con una tesi sulla  «tecnica dei grandi architetti del Rinascimento». Lavorò per qualche tempo presso un’impresa di costruzioni di Bologna, fino all’estate 1915, cioè fino al giorno che venne chiamato alle armi. Prestò servizio  nell’arma del genio. Nella primavera 1919 tornò a Bologna e fu  assunto da una importante società di costruzioni, con mansioni di progettista. Cinque anni più tardi si trasferì a Roma, e qui, nel 1932, si mise in proprio fondando la società di  costruzioni «Nervi e Bartoli». Fu in quell’anno che si  rivelò come uno dei più  geniali architetti moderni. Vinse numerosi concorsi pubblici in Italia e  all’estero. Fra le molte sue opere degli anni Trenta, vanno ricordate: il cinema-teatro Augusteo di Napoli, i  serbatoi di nafta per la  Marina italiana, una decina di aviorimesse in cemento  armato a struttura geodetica.
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Scompare con Nervi un importante personaggio dell’architettura italiana, conosciuto in tutto il mondo e stimato – oltre che dai  competenti – dalla gente  comune: l’architetto-costruttore, che è chiamato a fare le  grandi strutture o addirittura i monumenti della nostra  epoca: i ponti, gli stadi, le sale di esposizione, le cupole per gli usi utilitari o per gli usi aulici. Nel periodo fra le due  guerre, l’architettura doveva  essere monumentale a tutti i costi, e gli ultimi architetti accademici ingombravano le città con squallidi edifici  truculenti, grandiosi nelle  intenzioni e deboli nella sostanza (tutti hanno in mente il  palazzo di Giustizia di Milano o il palazzo della Civiltà  all’Eur di Roma). Avevamo la nausea di quelle muraglie rivestite con sottili lastre di pietra, di  quegli spessori che rivelavano i vuoti interni, di quelle banali gabbie di travi e pilastri  truccate per sembrare imponenti e audaci. In questo scenario di  cartapesta sono comparse le  prime opere di Nervi: fatte di solido cemento,  monumentali per natura e senza trucchi: lo stadio di Firenze, le due aviorimesse di Orbetello  distrutte dalla guerra. La loro impostazione era sempre  accademica e simmetrica,  secondo le regole tradizionali a cui Nervi è rimasto fedele per tutta la vita. Ma la tradizione era presa sul serio, con una  convinzione profonda, e le forme  nascevano da un rigoroso  sviluppo dei calcoli, con la  necessità e la coerenza logica che mancavano nei  «monumenti» dell’edilizia ufficiale. È bastato questo saggio di accademismo vero  (paragonabile all’opera di Perret in Francia, una generazione prima) per far sentire la  falsità dell’accademismo  fascista di parata: questo è stato il merito iniziale e duraturo di Nervi, la ragione del suo successo che non è venuto meno nel dopoguerra ed è continuato fino ad oggi:  infatti le sue strutture,  semplici nella sostanza e sofisticate nella presentazione,  soddisfacevano  contemporaneamente il senso del decoro e il senso della autenticità  costruttiva, dunque le esigenze delle autorità costituite e del mondo imprenditoriale  italiano impegnato nel boom degli anni Cinquanta e  Sessanta. È nata cosi la lunga serie delle opere più recenti: il  salone delle esposizioni al  Valentino, l’altro salone  torinese dell’esposizione per il  centenario dell’unità d’Italia, le opere realizzate per le  olimpiadi del 1960 a Roma (lo  Stadio Flaminio, il Palazzo dello Sport, il Palazzetto dello Sport, il viadotto sopra il villaggio olimpico) e infine il salone per le udienze fatto costruire da Paolo VI  accanto alla Basilica di San Pietro. Solide realizzazioni  tecniche guidate da un gusto  convenzionale e scenografico, che sono comparse – fuori stagione – a ricordare la mancanza di una cultura  accademica veramente seria e impegnata al momento  giusto, cioè nell’Italia dei primi decenni del secolo. Nervi ha vissuto con  profonda convinzione la tesi  fondamentale della cultura  europea del tardo Ottocento: la concordanza fra i calcoli scientifici e le forme regolari e simmetriche del  classicismo. Con questa certezza ha  vissuto in un’epoca che stava già sviluppando tutt’altre  esperienze culturali, e dunque era destinato a diventare  un’eccezione clamorosa:  infatti non lascia continuatori, e i suoi edifici inconfondibili sembrano già stranamente antichi. Ma egli ha seguito la sua strada con coerenza, e ha prodotto quel che tutti si  aspettavano da lui, con  sicurezza e autorità, nell’arco di una vita lunga e operosa,  fino a diventare da vivo il  monumento di se stesso nel tempio della fama. Ora  dobbiamo abituarci a  considerarlo un grande personaggio del passato.