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 1979  ottobre 09 Martedì calendario

Successo e problemi a Pitti Donna

Pitti donna edizione numero 59. Il più vasto e importante mercato della moda italiana. Dodicimila metri quadri di superficie espositiva divisa tra la Fortezza da Basso, il Palazzo degli Affari e quello dei Congressi. 388  espositori fra maglieria, pelle,  prèt à porter, costumi da bagno e accessori. Un carrozzone gigantesco nel quale confluiscono ditte a nostro avviso  selezionate con non sufficiente  severità, anche se gli  organizzatori ci dicono di aver respinto 500 domande di  partecipazione. Imponente è anche  l’afflusso dei compratori con in testa i tedeschi, gli inglesi, i  francesi e i giapponesi. Il colpo d’occhio è allucinante: una fiera «monstre» dove c’è di  tutto e dove tutti gli stands sono stati affollatissimi per tutta la durata della manifestazione, dal 6 ottobre a oggi. Gli espositori sono carichi di entusiasmo: «Vendiamo benissimo, ordini raddoppiati rispetto all’anno scorso» è la  risposta d’ordine al cronista  curioso di sapere come mai il lusso si vende cosi bene. Come mai, data l’impennata dei prezzi (dal 20 al 40 per cento in più). Come mai dato che, per ammissione stessa del presidente del Centro di  Firenze per la Moda, Franco  Tancredi, «quasi tutte le aziende che espongono consegnano soltanto il 50 per cento degli ordini». Come mai dato  l’abbassamento del tenore di vita che a causa dell’inflazione, delle stangate fiscali e tariffarie ha diminuito il potere  d’acquisto, e non soltanto in Italia. Un nodo alla volta, per carità. Primo nodo: i prezzi. Se fai la faccia allibita davanti alle l8 mila lire (prezzo al negozio) di un abitino di maglia di seta senza firma né modello, se ti stupisci per le 200 mila lire (sempre prezzo di costo) del più anonimo blouson di pelle, se timidamente dici che per questi prezzi si vorrebbe almeno un’etichetta che conti, ti senti rispondere «che gli stranieri pretendono di venire in Italia e trovare i prezzi dei beduini, che se ammettono che il nostro prodotto è migliore di quello francese non c’è ragione di venderlo a meno...», «che la colpa è dei negozianti esosi che  ricaricano più del cento per cento...», «che la colpa è del nuovo  contratto firmato dai lavoratori del settore; settanta ore di sciopero... il costo del lavoro a 6 mila lire l’ora»... «che la colpa è delle donne (in stragrande maggioranza fra le maestranze del settore) che stanno a casa appena il bambino ha il raffreddore»
Insomma, a sentire l  produttori piccoli e medi che sono poi il tessuto connettivo della nostra moda, le colpe son di tutti, tranne che loro. E invece sono anche loro. Loro, perché sull’onda del boom della nostra moda chiunque si è messo a far vestiti (e guardando fra gli stands di «Pitti Donna» abbiamo visto un sacco di nomi nuovi e un altro sacco ne abblam visti sparire rispetto agli anni scorsi). Loro, perché un’azienda per essere sana (dal  momento che loro stessi  ammettono di aver incrementato  vendite, fatturati e quindi anche  utili) deve fare degli investimenti e non tirar là come fanno gran parte di loro, con i laboratori esterni, il  lavoro che più nero di cosi non si può. Loro, perché tranne un 30 per cento di ditte solide,  vivono «attimo per attimo» senza una programmazione industriale. In qualsiasi settore (dalle automobili ai detersivi, dalle saponette ai liquori) le aziende prima di lanciare un prodotto fanno fior d’indagini di mercato per vedere qual è lo spazio libero da occupare. Nell’industria dell’abbigliamento di lusso, no: tranne rare e lodevoli eccezioni, le aziende fioriscono (e sfioriranno) spontaneamente come i papaveri nei prati. Ormai si parla di 2 milioni di addetti ai lavori di cui una gran parte è esposta a campare «tranquilla» sulla  filosofia del «fin che la va, la va». Secondo nodo, le consegne: e qui sentiamo le dolenti note dei compratori. Tedeschi, americanl, italiani con una voce sola dicono che la nostra moda è bellissima ma che non si possono ricevere le merci ordinate con un mese di ritardo sul previsto e, nel migliore dei cast incomplete perché non sono poche le ditte che mandano ai negozi 100 sottane oggi e le relative 100 giacche dopo quindici giorni. E aggiungono anche che la  selezione avverrà automaticamente: chi non ha consegnato bene una o due stagioni, verrà «depennato» dal loro giro di  acquisti, senza tanti complimen ti. E, come se non bastasse, parlando dei rincari, ripetono per una voce sola che accettano un aumento secondo l’inflazione, ammettono un 5 per cento in più a stagione ma sul 40 non ci sentono. «Pitti Donna» è sempre stato formidabile termometro per l’andamento del nostro  mercato della moda: dai pareri che abbiamo raccolto, emerge la necessità urgente che le industrie escano dal pericoloso «trip» del successo per entrare in una fase di riconsiderazione dei loro programmi aziendali, pena il viale del tramonto di una voce della nostra bilancia commerciale che, assieme al turismo, ha finora  occupato una posizione di  primissimo piano.