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 2017  febbraio 18 Sabato calendario

ANALFABETI PER SETTE Secondo l’Istat 80 nostri connazionali su 100 sono analfabeti “funzionali”

ANALFABETI PER SETTE Secondo l’Istat 80 nostri connazionali su 100 sono analfabeti “funzionali”. Cioè sanno leggere, scrivere e far di conto, ma non sono in grado di comprendere e sintetizzare un breve testo di media difficoltà o un articolo di giornale appena letti o ascoltati. Sanno aggiornare il loro profilo Facebook, ma non comprendono un grafico o i termini di una polizza assicurativa. Leggono, guardano, ascoltano, ma non capiscono. E spesso non se ne rendono nemmeno conto (Càndito, Sta).  
 
Secondo l’Istat il 5 per cento degli italiani ancora oggi è analfabeta strutturale, cioè «incapace di decifrare qualsivoglia lettera o cifra» (ibidem).
 
Nella classifica stilata dall’Ocse, nel 2013, su 24 Paesi, la «medaglia d’oro» degli analfabeti funzionali tra i 16 e i 64 anni spetta all’Italia. Con il 70 per cento dei nostri connazionali che hanno competenze ritenute al di sotto del «minimo indispensabile per vivere e lavorare nel XXI Secolo».
 
 
 
Tullio De Mauro, il più autorevole linguista italiano, diceva che ci sarebbe bisogno di «cicli di aggiornamento culturale di massa». Dovremmo andare tutti al doposcuola. «Prima si andava al mercato e si sceglieva la lattuga. Adesso c’è il supermercato dove tutto è imbustato. Per capirne provenienza e confezionamento è necessario saper leggere. Posso anche leggere Cile, ma se non so dove si trova quel Paese che me ne faccio di quella indicazione?».
 
 
Il Giappone nel 1870 investì ogni risorsa nella scolarizzazione. Nel 1900 tutti i giapponesi erano in possesso della licenza elementare. Traguardo che noi abbiamo raggiunto 80 anni dopo. Oggi nel nostro paese circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare.
 
Se dopo aver conseguito un titolo di studio un individuo non continua ad esercitare e aggiornare le conoscenze apprese, finisce per perderle. Tullio De Mauro aveva calcolato che le perde in un periodo quantificabile negli anni che ha impiegato per ottenere il titolo. Se ha la quinta elementare ci mette 5 anni, se ha la licenza media ne impiega 8 e via dicendo. Ma «anche brevi periodi di formazione sono sufficienti a riattivare il livello di scolarità».
 
Un’inchiesta del Cede di qualche anno fa disegnava il profilo dell’analfabeta benestante, con un reddito personale superiore a 40 mila euro e proprietà di famiglia oltre i 140 mila.
 
Tullio De Mauro, che fu anche ministro dell’Istruzione, raccontava questo aneddoto: «In Parlamento risposi a un’interrogazione di una deputata (insegnante tra l’altro). Dissi: l’onorevole preopinante (colui che ha appena dubitato, opinato ndr). Lei mi interruppe: come si permette di offendere?».
 
L’ignoranza, diceva De Mauro, «costa in termini civili, naturalmente culturali e persino nel processo produttivo. L’indice di produttività subisce un assoluto condizionamento dall’asineria».
 
La World Literacy Foundation ha calcolato che l’analfabetismo funzionale costa all’economia mondiale 1,2 trilioni di dollari e a quella italiana 50 miliardi di dollari.
 
 «L’analfabetismo è oggettivamente un instrumentum regni, un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni» (De Mauro).
 
Secondo l’Istat il 18,6 per cento degli italiani – cioè quasi uno su 5 – lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Ha vissuto prevalentemente per la televisione come strumento informativo fondamentale.
 
Nel 1961 la televisione trasmetteva “Non è mai troppo tardi”, programma che insegnava a leggere e a scrivere. Secondo il censimento di quell’anno, l’Italia contava oltre cinque milioni e mezzo di analfabeti (2.158.573 uomini e 3.297.432 donne).
 
Dalla Statistica del Regno d’Italia (1862) risulta che da noi l’analfabetismo riguardava il 78 per cento della popolazione, più della Spagna «che certamente non aspira agli onori del primato ne’ progressi intellettuali». Che su mille abitanti c’erano 51 alunni: ancora una volta meno della disprezzata Spagna (69), per non dire di Austria (79), Belgio (108), Francia (115), Paesi Bassi (123), Inghilterra (126) e dell’irraggiungibile Prussia (148). Non basta: su 7720 comuni, 209 erano del tutto privi di scuole sia pubbliche che private. La situazione non migliorerà che molto lentamente: il censimento del 1871 rivela che l’analfabetismo toccava ancora il 73 per cento della popolazione.
 
Consultando gli atti di matrimonio del 1867 si scopre che si scopre che in Italia il 60% degli sposi firmava con una croce, e così il 79% delle spose.
 
Ancora agli inizi del Novecento il 38 per cento dei nostri coscritti alla visita di leva risultava incapace di leggere e di scrivere mentre negli altri paesi europei l’analfabetismo era stato ridotto al minimo.
 
 
 
Un tempo in Italia non esistevano schede elettorali prestampate e per votare si scriveva semplicemente il nome del candidato su un pezzo di carta. Questo faceva sembrare materialmente impossibile l’ammissione al voto degli analfabeti. Nel 1912, quando il voto si estese a tutti i maschi di 21 anni e agli analfabeti di 30, si ammise che chi non sapeva nè leggere nè scrivere avrebbe potuto presentarsi al seggio con la scheda già pronta, da infilare in una busta speciale, detta “busta Bertolini” dal nome del deputato che l’aveva inventata.
 
 
 
Da ragazzo Arnoldo Mondadori, soprannominato”incantabiss”,”incantatore di serpenti”, per la bella voce, trovò lavoro nel cinematografo di Ostiglia, dove leggeva le didascalie dei film muti per gli spettatori analfabeti.
 
Secondo l’Unesco nel mondo 774 milioni di persone non sanno leggere né scrivere. Di questi circa i due terzi sono donne e  67 milioni sono bambini (soprattutto bambine) tra i 5 e I 9 anni. Il 75 per cento si trova in Africa e Asia.
 
Secondo un’indagine del 2015 di Save the Children, nel 2014 il 48% dei minori italiani dai 6 ai 17 anni non ha letto nemmeno un libro a parte quelli scolastici e il 55,2% non ha visitato nemmeno un museo.
 
Secondo un’analisi effettuata dall’Ocse in 24 Paesi, gli studenti più preparati del mondo sono in Giappone e a Singapore. Per l’Italia gli alunni interessati dalla ricerca sono stati 11.583 in 474 scuole. Risultato: dal 2006 non c’è stato nessun miglioramento, tra i ragazzi di seconda superiore, nella capacità di lettura e in scienze, con i risultati che restano inferiori alla media Ocse. Un dato per tutti: uno studente su cinque non raggiunge il livello minimo di competenza nella lettura di un testo. Ci attestiamo invece in linea con la media, 490 punti, per la matematica. A un abisso, comunque, dalle performance ottenute altrove in Europa: ad esempio dagli estoni (520 punti) ma anche, poco sotto, dagli olandesi, dagli sloveni, dai danesi, dai tedeschi. Per non parlare della distanza che ci separa dagli studenti di Singapore, i primi della classe in matematica, con 564 punti.
 
Sempre secondo il rapporto Ocse, in scienze gli studenti di Bolzano, Trento e Lombardia segnano punteggi fino a 35 punti superiori alla media italiana e vicini ai risultati top dei Paesi nordeuropei. I loro compagni campani, invece, sono 35 punti sotto la media. In pratica, è come se tra uno studente di Milano e uno di Napoli ci fosse un anno scolastico di ritardo.
 
 
Tra il 2005 e il 2013, segnala l’Ocse, la spesa pubblica per studente è calata di circa l’11%, mentre nella media degli altri Paesi è cresciuta del 19%.
 
La correlazione tra crimine ed analfabetismo funzionale, ben nota ai criminologi ed ai sociologi di tutto il mondo. Nei primi anni 2000 è stato stimato che il 60% degli adulti nelle carceri federali e statali degli Stati Uniti erano funzionalmente o marginalmente analfabeti, e l’85% dei delinquenti minorenni aveva problemi riguardanti la lettura, la scrittura e la matematica di base.
 
Aristide (letteralmente,”il Giusto”), sedeva nell’assemblea quando un tale accanto a lui, analfabeta, non lo riconobbe e gli chiese di scrivere il nome”Aristide” sul suo óstrakon. Il politico gli chiese il motivo della scelta, l’altro replicò: «Sono stufo di sentir ripetere da tutti che è un uomo giusto». Aristide scrisse il proprio nome sul coccio e alla fine del’assemblea fu condannato a lasciare Atene (Luciano De Crescenzo, “Storia della filosofia greca").
 
Steve McQueen era semi-analfabeta (anche se negli utlimi anni di vita divenne fanatico lettore di Ibsen).
 
Il caso del sudcoreano Seo Sang Moon che ha sostenuto 271 esami prima di riuscire a superare il test teorico per la patente. Per farcela gli ci sono voluti cinque anni e un milione di won (circa 800 euro). Analfabeta, non riusciva a raccapezzarsi con le domande su motore e segnaletica.
 
Abitudine di Karl Friedrich Gauss, fondatore della moderna teoria dei numeri, di correggere a tre anni i conti del padre analfabeta.
 
Isaac Newton e William Shakespeare erano figli di genitori che firmavano i documenti con una croce, cioè totalmente analfabeti.
 
 
«Una gallina analfabeta desiderava molto imparare a fare la sua firma. Quando finalmente trovò una gallina che sapeva leggere e scrivere disposta a insegnarle, si batté una zampa sulla fronte ed esclamò: “Non so come mi chiamo!”» (Luigi Malerba, Le galline pensierose).
 
 
«Pensare è il lavoro più faticoso che ci sia, ed è probabilmente questo il motivo per cui così pochi ci si dedicano» (Henry Ford).