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 2017  gennaio 30 Lunedì calendario

Compensi: gli uomini doppiano le donne

Che le donne guadagnino meno degli uomini a parità di lavoro, è risaputo. Gli istituti di ricerca hanno dedicato molte pagine negli ultimi anni per illustrare il cosiddetto gender pay gap che permette agli uomini di avere un tenore di vita nettamente migliore delle donne come documentato da un datablog pubblicato da Corriere.it la scorsa settimana. Fa, però, un certo effetto vedere nero su bianco che questa distanza diventa un vero e proprio abisso quando si arriva al vertice estremo delle aziende, ovvero alla posizione di amministratore delegato, dove le differenze dovrebbero invece azzerarsi.
Nel 2015 i capo-azienda hanno guadagnato oltre due volte e mezzo di più delle capo-azienda: 1,3 milioni di euro all’anno gli uomini contro meno di 500 mila euro le donne. E non è che sia cambiato granché negli anni. Anzi, come si vede dal grafico in pagina, il 2011 è stato un anno in cui il gap era più largo, con gli amministratori delegati che guadagnavano quasi 3 volte lo stipendio delle amministratrici delegate. Eppure le manager hanno un’esperienza in linea con quella dei colleghi. Questi dati sono contenuti nello studio «Corporate governance e diversity» curato da Marco Giorgino, professore ordinario di Finanza e risk management del Politecnico di Milano, che sarà presentato questa mattina nella sede della Borsa italiana in occasione dell’incontro «Smart boards for smart companies», a cura di Valore D, associazione delle grandi aziende per promuovere il talento femminile, e delle Alumnae di In the boardroom, la scuola di formazione di Valore D. Tra i presenti, Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa italiana, Carmine Di Noia, commissario Consob, Sandra Mori, presidente di Valore D, Laura Donnini, presidente In the Boardroom, Giorgina Gallo, consigliere indipendente Intesa Sanpaolo, Telecom, Autogrill, Veronica Buzzi, vicepresidente Buzzi Unicem, Katia da Ros, vice presidente Irinox Spa Tbc, Mariacristina Gribaudi, amministratrice unica Keyline e Stefania Bariatti, presidente Sias.
Le cause
«Il dato ha stupito anche noi – dice Giorgino —. Storicamente la minor presenza nel top management come bacino cui attingere fa sì che il numero di ceo donna sia molto basso e, inoltre, le donne tendono ad assumere cariche esecutive in aziende di dimensioni più contenute. Queste considerazioni attenuano un po’ il dato, ma non modificano la situazione di fondo perché, a parità dimensionale, rimangono delle differenze».
Si studiano le donne ma in realtà si studiano i consigli di amministrazione, che stanno progressivamente cambiando grazie alla legge Golfo-Mosca che ha imposto a società quotate e società pubbliche di riservare una parte dei posti al genere meno rappresentato. E i Cda stanno cambiando. Intanto sono più snelli e quelli delle società finanziarie – un tempo con decine di consiglieri ciascuno – si stanno avvicinando alle, più contenute, società industriali. Poi stanno diventando più giovani. Infine, vedono crescere il livello di formazione: sempre più consiglieri/e hanno un PhD e/o un Mba.
Indipendenti
La Golfo-Mosca ha portato ad avere quasi una coincidenza tra donne e consiglieri indipendenti. Le società si sono, infatti, trovate da una parte a dover inserire donne e dall’altra, spinte dal codice di Autodisciplina, a dover inserire consiglieri indipendenti. Il risultato della doppia imposizione è stato che i nuovi consiglieri indipendenti sono quasi sempre donne. E dal momento che agli indipendenti è riservato un ruolo importante nei comitati (come quello per le nomine o le remunerazioni), oggi su 452 comitati di società quotata, 124 hanno una presidente anziché un presidente.
Ora si tratta di fare un passo in più. «La legge sulle quote è sicuramente servita e ci sono ancora molti spazi», dice Guido Corbetta, professore di strategia delle Aziende familiari all’Università Bocconi, che oggi illustrerà quanto accade nelle imprese di famiglia i cui numeri sono imponenti. Se, infatti, le quotate che la prossima primavera rinnoveranno i propri organi sociali sono 69, le aziende familiari che dovranno adempiere allo stesso compito sono alcune migliaia: Bocconi ha calcolato che se applicassero la legge Golfo-Mosca (non hanno obblighi) i posti da assegnare alle donne sarebbero 1.440 rispetto ai 222 delle società che sono in Borsa (per i calcoli vedere le note nella tabella in pagina). Senza contare che ci sono anche i collegi sindacali.
«La diversity è uno degli elementi che può favorire un buon funzionamento del Cda – prosegue Corbetta —. È arrivato il momento di integrare la riflessione con una più generale sui board. Rispetto ai Cda internazionali – spiega il docente – da noi c’è una minor abitudine alla distinzione tra manager e azionisti. Sulle quotate i vincoli imposti dal codice di Autodisciplina hanno fatto molto, ora questa conoscenza si deve trasferire anche alle tantissime non quotate anche di grandi dimensioni».