ItaliaOggi, 15 dicembre 2016
Il ritorno delle vecchie Province
Il No alla riforma costituzionale è un Sì al ritorno delle Province? La loro cancellazione da parte del governo di Matteo Renzi non avvenne senza polemiche, come sempre quando si tratta di eliminare strutture politiche che prevedono presidenze e benefit. Così la corrente pro-Province adesso rialza la voce, complice il fatto che la legge Delrio sul riordino istituzionale è stata attuata a macchia di leopardo.
Forse anche per la sua incompletezza e farraginosità ogni Regione ha finito per interpretarla a modo suo e così ci sono territori dove le Province sono ancora vive e vegete, altri dove al loro posto sono sorte le aree metropolitane, altre ancora dove si brancola tuttora nel buio senza avere scelto quale soggetto delegare alla programmazione sovracomunale.
La conferma della situazione caotica che riguarda le Province soprattutto dopo il referendum arriva da Cuneo dove il presidente della vecchia Provincia, Federico Borgna, ex-Margherita oggi civico, ha indetto (per il 18 dicembre) le elezioni di secondo livello per costituire le Aree metropolitane ma un ex-assessore di peso, Roberto Russo, Pdl, che è anche membro del direttivo dell’Upi, Unione province d’Italia, le vuole impedire «perché le Province», dice, «rimangono in Costituzione. L’esperienza dell’ente di secondo livello, voluta da Renzi, è fallita e la parola deve tornare ai cittadini che dovranno essere di nuovo chiamati ad eleggere gli amministratori della propria Provincia. L’ente che invece dovrà essere profondamente trasformato è la Regione che dalla sua istituzione datata 1970 ha causato un’impennata del debito pubblico dovuta a costi insostenibili, ad una burocrazia pesantissima e ad una generale inefficienza».
Russo ha lanciato una petizione popolare, ha esortato sindaci e amministratori a non candidarsi, sta preparando esposti alla magistratura. Tra i favorevoli a questa contestazione vi è Franca Biglio, Forza Italia, sindaco di Marsaglia (provincia di Cuneo) e presidente dell’Ancpi, Associazione nazionale piccoli comuni, secondo la quale anche l’obbligatorietà dell’accorpamento dei piccoli Comuni è saltata con la bocciatura della riforma costituzionale. «La Provincia», dice- è un ente importante che costa pochissimo, con competenze (strade, scuole, gestione territorio ecc.) e funzioni di raccordo tra enti che non possono essere demandate a funzionari e burocrati. Inoltre la Costituzione rimane così com’è anche nella parte che riconosce e promuove le autonomie locali, quindi è ancor più motivato il netto no alle fusioni obbligatorie tra Comuni perché si configurano come uno strumento anticostituzionale, che attenta alla democrazia impedendo ai cittadini di eleggere il proprio sindaco».
Sul fronte pro-Province, seppure con qualche distinguo, è anche la Federazione dei Verdi, il cui portavoce piemontese, Angelo Spanò, non ha dubbi: «Con la vittoria del No siamo di fronte ad un’avvenuta incostituzionalità della legge Delrio. In pratica, con il No le Province ritornano organi costituzionali, com’erano prima della Delrio, e a questo punto l’ente Provincia, oggi di secondo livello, dovrà essere disciplinato costituzionalmente e quindi avere autonomia finanziaria, normativa e statutaria, com’era prima e non si potrà derogare dal principio di rappresentatività diretta».
Che fare? Il presidente nazionale dell’Upi, Achille Variati, Pd, ex-sindaco di Vicenza ed ex-presidente della Provincia, ha scritto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Illustre Signor Presidente, questi enti, che a seguito del risultato del referendum sono stati confermati tra le istituzioni costitutive della Repubblica, a causa dei tagli insostenibili cui sono state sottoposti a partire dalla manovra economica del 2015 sono nell’impossibilità di predisporre i bilanci. Ritengo indispensabile informarLa che se non si individuerà un provvedimento straordinario nessuna Provincia sarà in grado di presentare i bilanci per il 2017 con la conseguente interruzione dell’erogazione dei servizi essenziali ai cittadini».
L’Upi sta mobilitando presidenti ed ex-presidenti delle Province. Sarà una delle grane presto sul tavolo di Paolo Gentiloni. Il presidente della Provincia di Benevento, Claudio Ricci, Pd, afferma: «Il prevalere del No rende di fatto ancora più complicata l’amministrazione delle Province in quanto la legge che le regola, la n. 56 del 2014, dispone che la stessa norma abbia valore ’in attesa delle riforma del Titolo V della Costituzione’, cosa che per l’appunto il 4 dicembre non è avvenuta».
Insomma, tutti insieme, trasversalmente, per salvare le Province. Spiega Ricci: «Sebbene il vecchio governo ci abbia trattato come ente che ormai non esisteva più, per noi è un titolo di merito approvare il bilancio a fine anno visto che almeno la metà delle Province non riesce a farlo o addirittura molte sono in dissesto. Abbiamo perso enormi risorse finanziarie perché le abbiamo dovute restituire allo Stato per ripianare il suo deficit. Questa situazione è intollerabile. Occorre al più presto ridare autonomia organizzativa e potestà finanziaria alle Province secondo il disposto della Costituzione».
Insieme al Cnel anche le Province sembrano stiano tornando a nuova vita. Infatti la riforma costituzionale prevedeva pure la cancellazione degli articoli 114 e 118 e quindi di ogni riferimento alla Province. Sarebbero rimasti solo i Comuni, le Città metropolitane (di seconda elezione), le Regioni. Adesso è tutto da rifare e (ovviamente) non si conosce ancora come il governo Gentiloni intenda procedere e quindi quale sarà la sorte delle 76 Province a statuto ordinario, che avevano 43 mila impiegati (e 966 dirigenti), ridotti a 23 mila e gravavano per 7,5 miliardi di euro sulla finanza pubblica, che dopo i tagli sono scesi a 4,8 miliardi, di cui 970 milioni per il personale.
In tanti sollecitano un intervento del governo. Tra loro, Aldo Reschigna, vicepresidente (con delega al Bilancio) del Piemonte, Pd: «L’esito del referendum non significa che si torna automaticamente al passato. La legge Delrio è arrivata in una situazione in cui da tempo le Province vivevano momenti molto difficili. La scelta delle aree vaste e della gestione associata delle funzioni è stata una risposta a quella crisi e mantiene pienamente la sua utilità anche dopo la consultazione referendaria. Rimarranno dunque le Province ma in funzione di un’area vasta che permetterà anche la costituzione di strutture tecnico-professionali in grado di migliorare l’esercizio delle funzioni. È necessario un confronto col governo per definire le competenze costituzionali e le responsabilità legislative e finanziarie».
Infine c’è chi scrive una sorta delle «mie memorie» rimpiangendo i bei tempi delle Province nella speranza che ritornino. È Leonardo Raito, Pd, oggi sindaco di Polesella (Rovigo). Scrive: «Nel 2009 venni democraticamente eletto consigliere provinciale in un collegio uninominale e poi divenni assessore. Ritenni il mio servizio come un servizio prezioso per la comunità». Ma lui incominciò subito a soffrire perché «le Province furono identificate nel libro sullo “Casta” dei giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, come esempio di spreco e inefficienza, massacrate da una campagna stampa trasversale senza precedenti, diventate il sacrificio sopportabile da parte della politica nazionale, l’agnello sacrificale da immolare sull’altare dei costi della politica. In realtà, non erano altro che l’anello debole della catena della spesa pubblica, quello che si pensava di poter tagliare senza eccessivi problemi».
La conclusione di Raito è che «la riformina Delrio ha prodotto un classico pastrocchio all’italiana. Le Province sono per lo più oggi enti di secondo grado che vedono, come elettorato attivo, solo i consiglieri comunali e i sindaci dei Comuni delle province. Le cariche sono prive di indennità, in tal modo si considerano di nessun valore le responsabilità che presidenti di Province e consiglieri hanno, obbligandoli, tra l’altro, a faticose acrobazie tra ruoli e impegni diversi. Possibile gestire funzioni importanti in questo modo?»
Dopo qualche anno di ibernazione le Province (forse) risorgeranno, chiedendo uffici, personale, competenze, soldi. Scherzi della politica. E del referendum.