CorrierEconomia, 12 dicembre 2016
Banca d’affari Goldman Trump
E meno male che durante la campagna elettorale Donald Trump aveva denunciato il capo di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, in combutta (a suo dire) con Hillary Clinton per «distruggere la sovranità degli Usa in modo da arricchire i poteri globali finanziari»! Ora che ha conquistato la Casa Bianca, il neo eletto presidente non si fa problemi a circondarsi di manager provenienti dalla famosa banca d’affari che era finita sul banco degli imputati come uno dei principali protagonisti della crisi finanziaria nel 2008.
Durante le audizioni parlamentari sullo scandalo dei contratti derivati, nell’aprile 2010, Blankfein era stato messo alla berlina come massimo esempio dell’avidità di Wall Street. E l’immagine di Goldman Sachs come «una grande piovra-vampiro avvolta attorno alla faccia dell’umanità» – così la rivista Rolling Stone nel 2009 – è diventata il bersaglio più comune delle manifestazioni del movimento Occupy Wall Street.
Le schiere. In quest’ultima campagna elettorale, poi, non era stato solo Trump a prendere di mira Blankfein e i suoi uomini, che in gran parte – fra l’altro – hanno sempre tifato per i Democratici. Nel 2008 per esempio avevano donato quasi un milione di dollari all’allora candidato Barack Obama. Contro Goldman Sachs nell’ultimo anno si sono schierati con forza due senatori diventati molto influenti nel partito Democratico, Bernie Sanders – il rivale di Hillary per la nomination – ed Elizabeth Warren: se avesse vinto la Clinton, avrebbero ingaggiato una dura battaglia per non far entrare al governo alcuno degli alunni della banca d’affari. Ad eccezione forse di Gary Gensler, che pur con 18 anni di carriera alla Goldman Sachs, aveva già fatto il civil servant al Tesoro sotto il presidente Bill Clinton e poi dal 2009 al 2013 era stato scelto da Obama per guidare la Commissione sul trading di commodity e futures; secondo indiscrezioni avrebbe potuto diventare lui il ministro del Tesoro o comunque assumere un importante ruolo con Hillary.
Invece con Trump quella posizione è andata a Steven Mnuchin, che ha lavorato 17 anni alla Goldman Sachs, soprattutto nel business del trading sui mutui all’inizio degli Anni Novanta. «Ha passato due decadi ad aiutare quella banca a spacciare lo stesso tipo di prodotti che hanno fatto saltare in aria l’economia e hanno succhiato miliardi di dollari dei soldi dei contribuenti, prima di mettersi in proprio con un’altra banca (OneWest) tristemente famosa per la sua aggressività nell’espropriare le case delle famiglie in difficoltà con i mutui», ha subito commentato la paladina dei risparmiatori Warren.
Mnuchin era diventato partner di Goldman Sachs nel 1994, lo stesso anno di Gary Cohn, il suo attuale presidente e responsabile operativo, ovvero il numero due sotto Blankfein, a cui Trump ha offerto la guida del National economic council della casa Bianca, l’agenzia federale che consiglia Mr President su questioni economiche interne e internazionali. Cohn diventerà, quindi, un altro dei banchieri di Goldman Sachs nella squadra di Trump. L’ipotesi era già nell’aria visto che Cohn era andato alla Trump Tower a incontrare il neo presidente. Fra loro c’è un buon feeling. «Essendo cresciuto nel MidWest, in Ohio e avendo cominciato la mia carriera in un’acciaieria a Cleveland, avevo il presentimento che Trump avrebbe vinto», ha detto Cohn.
Gli altri. A scegliere gli uomini del nuovo governo, nel team della Transizione, c’è un altro ex Goldman Sachs, l’italo-americano Anthony Scaramucci: prima di fondare il proprio hedge fund, aveva lavorato per la banca, in particolare nella gestione dei patrimoni dei clienti ricchi. E poi c’è Steve Bannon, famoso per aver diretto il sito di notizie e commenti politici di destra Breitbart, ma con alle spalle una carriera di banchiere: negli Anni Ottanta ha lavorato nel dipartimento Fusioni e acquisizioni (M&A) di Goldman Sachs, per poi lanciare insieme ad alcuni colleghi una propria investment bank specializzata nel settore dei media. Bannon è stato a fianco di Trump durante la campagna elettorale e ora è diventato il suo capo stratega.
Ricorsi. Trump insomma ha riaperto le porte della Casa Bianca ai banchieri della Goldman Sachs, che del resto hanno una lunga tradizione di potere ed influenza sui presidenti americani. Mnuchin è il terzo ministro del Tesoro in poco più di 20 anni a venire dalle file di questa banca, dopo Robert Rubin, che lo era stato dal ’95 al ’99 sotto Bill Clinton e dopo Henry Paulson, in carica dal 2006 al 2009 sotto George W. Bush e artefice del salvataggio delle grandi banche dopo la crisi del 2008. Oltre 100 anni fa, il primo a giocare un ruolo pubblico di peso era stato Henry Goldman, membro della famiglia dei fondatori di Goldman Sachs: aveva aiutato a creare la Federal Reserve, la banca centrale Usa. E per ben tre decenni, dal ’33 al ’63 il ceo Sidney Weinberg era stato consulente economico di tre Presidenti: Franklin Roosevelt, Dwight Eisenhower e Lyndon Johnson.
Il ritorno di Goldman Sachs nella stanza dei bottoni per ora ha fatto bene alle sue quotazioni in Borsa: dall’8 novembre, giorno della vittoria di Trump, sono schizzate all’insù del 25%, il quintuplo dell’indice azionario Dow Jones. Resta da vedere l’effetto che avrà sul sistema finanziario ed economico, se a favore della Main Street, il popolo che ha votato Trump (anche se il maggior numero di voti, va ricordato, appartiene alla perdente Hillary Clinton che ne ha presi oltre 2 milioni in più di Donald) o a vantaggio ancora una volta di Wall Street.