CorrierEconomia, 12 dicembre 2016
Il prezzo molto salato del tempo perso sugli istituti di credito
Qualcosa deve essere accaduto nelle scorse settimane se improvvisamente, dopo un voto che ha avuto come effetto una crisi di governo, la Borsa di Milano è schizzata verso l’alto e lo spread si è adagiato su valori minimi per i nostri standard. Ci ha pensato poi la vicenda Mps con il suo brutto strascico di incertezze per risparmiatori e cittadini a ricordarci la nostra fragilità. Una prima lezione da trarre dai mercati è che sono un buon indicatore per capire come ci vedono gli investitori. Ma sono composti da operatori che, comprando e vendendo, hanno un unico scopo: guadagnare. E possono farlo anche al di là della realtà e dei fondamentali di Paesi e aziende. Può sembrare ripetitivo, ma dopo la crisi del 2008, giova ribadire che non siamo in un mondo dove il prezzo e il mercato misurano esattamente il valore delle cose. La seconda lezione è che molto dipende dai comportamenti delle persone che stanno ai vertici delle aziende e che hanno il dovere di rappresentare correttamente la situazione e di perseguire il bene della società, degli azionisti e dei dipendenti. Come altrettanto impegno è necessario da chi è preposto ai controlli e al governo della cosa pubblica. Troppo spesso nel nostro Paese si assiste a vicende che sembrano avere dell’imponderabile quasi che non esistessero mai responsabilità di alcuno. Per decenni si sono tollerate decine e decine di consigli di amministrazione di minuscole banche utili solo a garantire la gestione di potentati locali. La vicenda delle due popolari venete è emblematica di come a quei Cda interessasse solo l’autoconservazione. E la stessa storia del Monte dei Paschi ne è un esempio. Nonostante il tema sia stato più volte sollevato sui media, in troppi hanno sperato che il tempo potesse essere l’alleato giusto per risolvere situazioni macroscopicamente deviate.
E quando questo accade è facile assimilare singole situazioni di difficoltà allo stato di salute di un intero settore come quello bancario. Certo, il sistema creditizio deve fare i conti con sofferenze tra i 200 e i 360 miliardi di euro, anche se può garantirne autonomamente fino al 60 per cento della copertura. Il fabbisogno per fare fronte a nuovi aumenti di capitale del sistema è calcolato attorno ai 40 miliardi. Una cifra enorme. Ma pienamente gestibile dalla terza economia europea, e da una nazione che ha tra i più alti tassi di risparmio del mondo. Appunto però: una situazione pienamente gestibile soltanto se si agisce, senza tergiversare troppo come è avvenuto finora. Un percorso è stato indicato da Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera dello scorso 2 dicembre ipotizzando una sorta di intervento misto Italia-Ue. Non sembra la soluzione più corretta per risolvere definitamente il problema? Se ne adottino altre. Ma non si speri solo nel grande medico che è il tempo. Si potrà eccepire che a Francoforte si sia usata la mano troppo pesante con Monte Paschi negandogli una proroga di 5 settimane per riuscire a realizzare l’aumento di capitale, necessario per il salvataggio ma resta il sapore amaro di una situazione non gestita. Non sarà facile intervenire in settimane di forte fibrillazione dovuta a un difficile momento di passaggio del Paese che dovrà attrezzarsi ad andare nuovamente al voto. Ma proprio per questo sarebbe troppo comodo, miope e poco lungimirante pensare che l’unica risposta al vuoto momentaneo di governo sia ancora una volta aspettare. È l’ora di mostrare che la classe dirigente, l’ossatura di questo Paese, c’è, è sana e in grado di gestire il momento e di meritare il posto che ricopre.