Affari&Finanza, 12 dicembre 2016
Bloomberg, miliardario e filantropo. «Vincerò la mia crociata contro il fumo»
L’immagine caricaturale del miliardario di Wall Street che ha sempre tra le dita un costoso sigaro cubano, brandendolo come se fosse uno scettro, non potrebbe essere più fuorviante nel caso di Michael Bloomberg. L’ex-sindaco di New York non solo è il quarto uomo più ricco del pianeta, con un patrimonio personale valutato a ottobre in 43,3 miliardi di dollari (che grazie al boom borsistico innescato dalla vittoria di Donald Trump saranno persino aumentati), ma è anche il nemico numero uno del tabacco a livello mondiale. E dopo le campagne anti-fumo che ha varato a New York, dopo i primi stanziamenti del 2006 e 2008 per sostenere gli sforzi dell’Organizzazione mondiale della sanità contro i danni del tabacco, Bloomberg ha deciso adesso di stanziare 360 milioni di dollari per una nuova offensiva contro le sigarette.
«Ridurre il consumo di tabacco è una delle grandi opportunità che abbiamo per salvare vite umane ed evitare sofferenze», spiega il miliardario- filantropo: «Sappiamo che attraverso forti interventi pubblici possiamo avvicinarci all’obiettivo». Il nuovo finanziamento di Bloomberg (che porta a quasi un miliardo di dollari i suoi finanziamenti complessivi anti-fumo) servirà appunto, tra il 2017 e il 2022, a promuovere il rialzo delle accise sulle sigarette, a favorire nuove leggi a tutela dei non-fumatori e a moltiplicare le campagne contro il tabagismo. E tutto questo con una priorità geo-economica ben precisa: i paesi a reddito medio-basso dove si concentra l’80% di quel miliardo di persone che ancora sono vittime della nicotina.
Secondo le proiezioni di Euromonitor international, il consumo di sigarette al livello mondiale, dopo aver raggiunto l’apice nel 2012, è cominciato a scendere. Si calcola che nel 2014 siano state vendute 200 miliardi di sigarette in meno rispetto al 2010, con un calo sensibile negli Stati Uniti e nei paesi più sviluppati. D’altra parte l’anno scorso sono state smerciate ancora 5600 milioni di miliardi di sigarette in giro per la Terra e ogni anno 6 milioni di persone continuano a morire per colpa del fumo. Come dire: il problema non è ancora in via di soluzione, specie nei paesi in via di sviluppo, dove si concentra l’offensiva di marketing di Big Tobacco, il soprannome delle cinque multinazionali che controllano il business delle sigarette (Philip Morris International, British American Tobacco, Imperial Brands, Japan Tobacco International, China Tobacco).
A stanziare e gestire i 360 milioni di dollari sarà la Bloomberg Philantropies, il braccio operativo nel settore filantropico della Fondazione di Bloomberg. Il cui responsabile dei programmi per la salute, Kelly Henning, precisa che una delle priorità sarà quella di spingere perché vengano aumentate le tasse sui pacchetti di sigarette in 110 Paesi, a cominciare dalla Cina, dall’India, dall’Indonesia e dal Bangladesh, che hanno un grandissimo numero di abitanti e ancora poca sensibilità ai problemi legati al fumo. Bloomberg, che ha 74 anni, è stato un precursore di queste campagne anti-sigarette. Nel 2001 decise di abbandonare la guida del suo gruppo specializzato nella informazione economica, che aveva lui stesso creato nel 1981 dopo anni di lavoro alla Salomon Brothers, per dedicarsi alla vita politica e prendere il posto di Rudolph Giuliani come sindaco di New York. In quella veste, e per i 12 anni successivi, ha governato la metropoli intrecciando le sue posizioni conservatrici in materia economia con uno spirito progressista su temi sociali e ambientali.
Ha sempre sostenuto la necessità di dare la cittadinanza agli immigrati illegali, di legalizzare i matrimoni di persone dello stesso sesso e di condurre azioni energiche a favore della salute pubblica. Tra queste, ad esempio, le iniziative per ostacolare la vendita di bevande gassate ad alto contenuto di zuccheri e soprattutto per ridurre il fumo. Così, a New York un pacchetto di sigarette costa ormai 12 euro e ci sono restrizioni ovunque: nei ristoranti, ovviamente, ma anche nei bar e nei parchi pubblici. Qualcuno, soprattutto negli ambienti di destra, ha accusato Bloomberg di puntare a uno “stato baby-sitter”, in cui i pubblici poteri si intromettono nella vita quotidiana dei cittadini e nelle loro decisioni. Ma lui ha sempre risposto che salvare vite umane deve essere una delle responsabilità prioritarie della politica.
Concluso nel 2013 il terzo mandato come sindaco, Bloomberg si è prima dedicato a tempo pieno alle sue attività filantropiche, poi ha ripreso in mano il controllo dell’azienda: che è una vera fucina di denaro, attraverso i 325mila terminali di notizie economiche disseminate su tutte le scrivanie che contano nella finanza internazionale. Ma ha sempre coltivato anche ambizioni presidenziali: si pensava quest’anno che potesse scendere in campo come candidato indipendente per la Casa Bianca. Poi ha deciso di lasciar perdere, appoggiando Hillary Clinton contro Trump, di cui ha continuato a dire tutto il male possibile (solo negli ultimi giorni i due miliardari si sono rappacificati). Ma intanto continua a impegnarsi in prima persona, stanziando centinaia di milioni, per le cause in cui crede: a cominciare dall’estirpazione del fumo dalla faccia della Terra.