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 2016  dicembre 15 Giovedì calendario

Assad userà la vittoria per restare al potere

Non è cambiato nulla, o quasi nulla. La rottura della tregua annunciata martedì sera non significa affatto che Aleppo non sia caduta. Semplicemente il momento in cui il regime di Damasco isserà la sua bandiera su tutti quartieri della città simbolo della guerra civile siriana è stato rimandato solo di qualche giorno,se non di qualche ora. Un manipolo di guerriglieri, per quanto determinati, non può opporre resistenza contro le forze messe in campo dal regime del presidente siriano Bashar al-Assad. Peraltro appoggiato dai martellanti – e decisivi – bombardamenti dell’aviazione russa.
I ribelli sono stremati, senza munizioni, circondati e chiusi come topi in quattro quartieri. Se decidessero di resistere non avrebbero possibilità. Il fallimento della tregua per far evacuare i miliziani e le loro famiglie, oltre a soccorrere 50mila civili rimasti imprigionati, rappresenta però l’ennesimo episodio che segnala quanto sia difficile mettere d’accordo due belligeranti quando, in realtà, in questa guerra a combattere sono una pluralità di milizie, con interessi divergenti se non opposti, e quando sono stati risucchiati in questo pantano molti attori regionali, anch’essi con interessi diversi in seno alla stessa coalizione.
Ecco perché l’imminente caduta di Aleppo, per quanto segni una grande svolta in favore del regime, non metterà la parola fine alla guerra. In Siria c’è ancora l’Isis. Per quanto indebolito, i suoi jihadisti controllano ancora larghe porzioni del territorio e di recente sono perfino riusciti a riconquistare Palmira. L’opposizione armata, ormai confinata nella provincia nord-occidentale di Idlib, nel Goutha e a Daraa, nel sud, è sempre stata un coacervo di milizie con interessi divergenti, a volte rivali. Se il gruppo filo qaedista Fateh al-Sham è la forza più organizzata, vi sono ancora milizie salafite, ed altre più moderate. La loro disomogeneità è un serio ostacolo al raggiungimento di qualsiasi, credibile tregua.
Molto più compatto militarmente, il fronte di Assad vede come protagonisti potenze che non hanno per forza gli stessi obiettivi. Il fallimento della tregua di lunedì è stato imputato da alcune fonti all’Iran. Nella fattispecie alle milizie iraniane, o a quelle che prendono ordini da Teheran. E che avrebbero voluto in cambio dell’evacuazione dei ribelli da Aleppo, la contestuale evacuazione dei villaggi sciiti di Kafraya e al-Fou’a nella provincia di Idlib, assediate dai gruppi più estremisti dei ribelli. Insomma ognuno ha le sue rivendicazioni. L’Iran peraltro non deve aver gradito che la tregua annunciata lunedì sia stata concepita da Russia e Turchia, che se ne sono fatte garanti. E arriviamo alle due potenze sunnite invischiate nel conflitto. È improbabile che Ankara e Riad assistano senza far nulla alle nuove offensive annunciate dal regime. E che accettino una vittoria totale di Assad in Siria.
Cosa accadrà allora?
Euforico per i recenti successi militari è probabile che Assad rimandi, se non annacqui del tutto, il processo di transizione democratica tanto voluto dalla Comunità internazionale. Probabilmente la Siria resterà spezzata, orfana di parti del suo territorio dove saranno i ribelli a dettare legge. E vittima di unalunga stagione – forse anni – di insurrezione a bassa intensità. Un habitat congeniale per l’Isis.