Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2016
I francesi e il pretesto delle nozze sulla pay-tv
A inizio estate, gli uomini di Vivendi e Mediaset Premium erano tutti impegnati, a testa bassa, per preparare il palinsesto autunnale della futura paytv paneuropea: Mediaset Premium era stata promessa sposa al colosso tv francese del finanziere Vincent Bollorè. E il matrimonio comprendeva anche un accordo più ampio e strategico: uno scambio incrociato di partecipazioni. Mediaset metteva un piede dentro Vivendi; Vivendi dentro il gruppo televisivo dell’ex premier Silvio Berlusconi.
Mediaset aveva bisogno di maritare i suoi canali a pagamento: Mediaset Premium, nata per fare la guerra a Sky, si è rivelata un impegno più gravoso del previsto: la zavorra Premium. Ed è una zavorra pesante: l’anno scorso Mediaset ha chiuso un bilancio praticamente in pareggio; un lillipuziano utile di 4 milioni eroso proprio da Premium: senza la pay-tv ci sarebbero stati quasi 100 milioni di utili. Da quando è partita, la pay-tv del Biscione non è ancora riuscita a chiudere un bilancio in utile e quest’anno le perdite supereranno i 100 milioni. Sui conti ha pesato lo sforzo per soffiare alla rivale Sky l’esclusiva della Champions League: i diritti per la più seguita competizione calcistica sono costati un’enormità, circa 600 milioni e ora Premium fatica a rientrare dei costi. Perché Vivendi, che già aveva i suoi problemi in casa con la propria pay-tv Tele+, che ha conti in dissesto ed è costata numerosi salvataggi a Bollorè, avrebbe dovuto farsi carico di un altro fardello? Di due zoppi si sarebbe riusciti a fare un gruppo sano? Sulla carta c’erano molte sinergie, ma il problema non si è mai posto perchè a fine luglio, il clamoroso voltafaccia di Vivendi. Salta il matrimonio.
Ora il Blitz di Natale, e il Berlusconi furioso (segnale di una famiglia colta alla sprovvista), dimostrano le vere intenzioni di Bolloré: altro che piattaforma comune sulla pay-tv. Cade il velo: a Vivendi della pay tv importava poco o nulla. Era solo una foglia di fico. Quello che interessa veramente è Mediaset, il boccone ghiotto. Il finanziere francese è già il dominus in Mediobanca, che è anche il principale azionista delle Assicurazioni Generali (l’unico vero colosso finanziario dell’Italia); ha preso il controllo di Telecom Italia. E la tentazione di mettere le mani anche sulle tv del Biscione: la famosa e più volte agognata fusione TeleMediaset, in salsa francese però. Una posizione del 20%, un quinto delcapitale e la metà del pacchetto di controllo dello storico azionista Fininvest, non è poca cosa; e, soprattutto, non si costruisce in un giorno. Bollorè ha pianificato da tempo, ha studiato a tavolino con gli avvocati la mossa. Ma per fare cosa? Il 20% è sì una quota considerevole, ma se c’è un dato di fatto è che Mediaset è inscalabile: il 40% in mano alla Finivest di fatto blinda la società. Lanciare un’Opa costerebbe tantissimo (a cascata andrebbero lanciate offerte anche su TeleCinco ed EiTowers) e l’esito sarebbe incerto.
C’è chi vede nell’affondo un’orizzonte a breve: costruirsi una base negoziale. Con lo spettro del risarcimento da un miliardo, Bolorè avrebbe ora una merce di scambio per la causa legale fatta da Mediaset, una fiche per sedersi al tavolo e cercare un accordo. E dietro l’irrituale stillicidio di acquisti (prima il 3 poi 12 ora il 20% e domani chissà, forse il 25% come fatto in Telecom Italia), ci sarebbe anche un messaggio diretto a Silvio medesimo (che infatti ieri ha risposto): metterlo all’angolo, e costringerlo magari a ritirare la causa o a trovare un accordo.
I più cospirazionisti, invece, leggono dietro la scalata uno scenario più a lungo termine: il Cavaliere ha valicato la soglia degli 80 anni, e il tema dell’eredità di Mediaset si fa sempre più concreto. Da qui a qualche anno, in una Mediaset post-Silvio, potrebbero aprirsi molti scenari. E Bollorè, con il suo 20%, sarebbe lì pronto a cogliere l’occasione. È come se il francese avesse preso una posizione Long, lunga, sul titolo Mediaset scomettendo, nello stile arrogante della casa, sull’anzianità del leader, e sul passaggio generazionale. Il prezzo da pagare per avere un’opzione sull’impero di Berlusconi è però alto: 700 milioni di euro (tanto è costato il 20%) da tenere immobilizzati chissà per quanto tempo. Ma il francese, che non ama la definizione di raider ma che ne ha tutta la fisionomia, ha un jolly: col balzo del titolo, potrebbe uscire con una ricca plusvalenza, se le cose non dovessero andare per il verso giusto.