Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2016
La grande sfida a Piazza Affari, ecco le mosse della scalata
Bolloré, il jazzista della finanza dalle molte carte da giocare. Vincent Bolloré è un jazzista della finanza: improvvisa con estro. Forse il disegno finale non è chiaro neppure a lui, ma sa che ha diverse carte da giocare. Ora ha avviato l’affondo su Mediaset con l’obiettivo – «in un primo tempo», come espressamente dichiarato da Vivendi – di arrivare fino al 20% del gruppo televisivo che fa capo alla famiglia Berlusconi. Ma Vivendi è anche l’azionista di riferimento (incontrastato) di Telecom Italia, con una quota che sta ricostituendo appena sotto il 25%, perché di lanciare un’Opa non se ne parla. E in più in Francia è in trattative avanzate con Orange, per far entrare l’incumbent transalpino con una quota di minoranza in Canal Plus, la pay-tv che naviga in profondo rosso tra scioperi e maretta sulla sua linea editoriale. Non è escluso – e conoscendo il modus operandi di Bolloré è probabile – che sul tavolo dei negoziati con l’ex France Telecom ci sia anche uno scambio azionario, con un ingresso “simbolico” di Vivendi in Orange.
Del resto è quello che Vivendi ha fatto anche nei confronti di Telefonica, dove è entrata con una quota di poco inferiore all’1% nell’ambito della cessione della brasiliana Gvt e del subentro nel capitale di Telecom.
È?ancora una nebulosa in attesa che si componga un quadro definito, ma – nell’ottica di Parigi – quello che potrebbe uscirne è un “reticolato” che comprenda i contenuti di Vivendi e Mediaset, da una parte, e i canali di trasmissione delle tlc di Orange e Telecom dall’altra, per dar vita al progetto sbandierato già da tempo di costruire una Netflix europea, partendo – per iniziare – dall’Europa mediterranea, con la Francia, l’Italia e la propaggine spagnola di Mediaset che controlla Telecinco.
In questo scenario, almeno per ora, resterebbe fuori Telefonica, che pure è ancora presente con una quota di poco superiore al 10% in Mediaset Premium, la pay-tv per la sistemazione della quale ha avuto origine tutto l’ambaradan. Solo pochi mesi fa – a quanto risulta – Bolloré l’aveva buttata lì quasi per scherzo all’ex presidente di Telefonica, Cesar Alierta, che un ruolo di dominus sul gruppo iberico ancora ce l’ha. Magari vi rivendo a 1,5 euro la quota di Telecom, avrebbe detto Bolloré rivolto all’interlocutore spagnolo. Non se ne è fatto niente e ora l’asse privilegiato sembra essere quello domestico, con Orange che, a intermittenza, non ha nascosto le mire su Telecom, rintandosi ogni volta di fronte a qualche accenno di “sorpresa” da parte italiana. Ma, per l’appunto, ora a parlarsi sono direttamente i francesi.
Bene, ma che c’entra tutto questo con Mediaset? C’entra, perché – almeno in questa fase – l’obiettivo di Bolloré sembra proprio essere quello di sedersi a trattare in posizione di forza con la famiglia Berlusconi, puntando a riaprire un dialogo direttamente con il capostipite Silvio che, nell’impressione che se ne sarebbe fatto, sarebbe forse più disponibile dei figli impegnati nelle aziende a considerare in prospettiva la possibilità di “diluirsi” in un polo più articolato e “potente”. Una scommessa che è anche un azzardo perché non tiene conto delle possibilità di arrocco di un gruppo che comunque è fortemente radicato nel sistema italiano. Ovvio che Vivendi, con il suo 20%, punta a diventare l’interlocutore “obbligato” di Mediaset e a costituire una minoranza di blocco che impedisca altre alternative. La scommessa si gioca sulla spregiudicatezza di chi prova a porre l’alternativa: meglio avermi amico o nemico, considerato che ho in mano anche la leva delle tlc?
Nella fase successiva all’assalto ad arma bianca è probabile che ci sia una tregua per tentare l’accordo che a luglio non è riuscito: spostare cioè il tavolo sul piano di un coinvolgimento avvolgente dell’intero gruppo Mediaset, di cui Premium è solo un corollario problematico. Non c’è da dimenticare che Bolloré in proprio controlla Havas, che si definisce una «fully integrated global advertising company» e l’interesse a puntare su un collettore di pubblicità come Mediaset potrebbe andare anche oltre i confini di Vivendi.
Ad ogni modo, il blitz francese è caduto – forse non proprio casualmente – in un momento in cui c’era un vuoto di poteri a Roma, con il passaggio di consegne tra un Governo e l’altro. Ma la politica ieri una paletta l’ha alzata. «Il Governo monitorerà con attenzione l’evolversi della situazione», ha promesso il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, che ha anche osservato come tentare una scalata ostile a uno dei più grandi gruppi media italiani non sia «il modo più appropriato» di rafforzare la propria presenza nel Paese.
È tutto da verificare quindi, se non si ricomporrà la situazione con un accordo, se Bolloré deciderà comunque di procedere con la fase 2, di andare oltre cioè il 20% che aveva fissato come prima tappa. Liquidità nelle casse di Vivendi ce n’è ancora: 2,5 miliardi di posizione netta attiva a fine settembre, da decurtare per tener conto dei nuovi acquisti.
Berlusconi in campo per difendere la sua Tv dagli attacchi ostili. Le armi azionarie della difesa per ora sono finite qui. Fininvest, che è salita al 38,266% del capitale di Mediaset e al 39,775% dei diritti di voto, non può andare oltre fino ad aprile, quando si riaprirà la finestra di altri 12 mesi per poter incrementare la quota di un altro 5% senza dover lanciare un’Opa (lo scorso aprile aveva già comprato poco meno dell’1,3%). Neppure Mediaset, che ha già il 3,79% di azioni proprie, può dar corso al buy-back per salire fino al 10% di azioni proprie perchè farebbe scattare la soglia d’Opa per Fininvest. A questo punto si può considerare che il 19% del capitale di Mediaset che è passato di mano nel corso delle ultime due sedute sia in gran parte riferibile a passaggi collegati all’esercizio di derivati da parte di Vivendi per salire al 20% che ha raggiunto finora.
Per il momento non sembra esserci spazio ad aperture per ritentare un dialogo, opzione che in prima battuta Bolloré aveva probabilmente considerato per forzare un accordo alle sue condizioni. La famiglia Berlusconi sembra compatta nella difesa di quello che è il core business del gruppo. «L’acquisto di azioni Mediaset da parte di Vivendi, non concordato preventivamente con Fininvest, non può essere considerato altro che un’operazione ostile – ha dichiarato lo stesso Silvio Berlusconi in una nota diffusa prima del nuovo annuncio di Vivendi di essere già salita al 20% -. Quanto a noi, c’è la compattezza più assoluta della mia famiglia su un punto molto preciso: non abbiamo alcuna intenzione di lasciare che qualcuno provi a ridimensionare il nostro ruolo di imprenditori». Per questo motivo, ha aggiunto, «abbiamo aumentato la nostra partecipazione e continueremo a farlo nei limiti consentiti dalle leggi. Vivendi ha avuto l’opportunità, con l’accordo strategico firmato nello scorso aprile, di avviare con Mediaset una collaborazione che si preannunciava proficua per entrambi i gruppi. Purtroppo questo accordo è stato disconosciuto da Vivendi nei modi e con le conseguenze anche giudiziarie che sono note. Non è certo questo il miglior biglietto da visita che Vivendi possa esibire nel riproporsi come azionista industriale della società».
Porte chiuse, dunque, a qualsiasi tentativo di dialogo. L’intenzione dichiarata dall’azionista di riferimento di Mediaset è di resistere all’assedio, perchè evidentemente i presupposti per ristabilire un rapporto di fiducia non ci sono più. In teoria, Fininvest potrebbe avere già “prenotato” l’ulteriore 5% che potrebbe rilevare a partire da aprile con un derivato, magari con un’opzione put&call (opzione a vendere/comprare) che, se stipulato con la stessa controparte, neppure dovrebbe essere dichiarata. L’assemblea per il rinnovo del consiglio è quella della primavera 2018, la partita potrebbe perciò essere lunga.
Nel frattempo, però, è possibile che Bolloré decida di salire oltre quel 20% dichiarato come prima tappa, per avvicinarsi alla soglia d’Opa del 30%. In questo caso probabilmente raggiungerebbe con certezza matematica la minoranza di blocco nelle assemblee straordinarie, che deliberano con la maggioranza dei due terzi, limitando così gli spazi di reazione della controparte.
Parte dell’azione di difesa è delegata al piano legale. Si potrebbe cercare di far valere ancora il contratto di aprile su Premium, che i francesi disconoscono ma che per il Biscione è invece valido e vincolante. Secondo il contratto «nel primo anno dalla data del closing (che non c’è stato, ndr) Vivendi non potrà effettuare, direttamente o indirettamente, alcun acquisto di azioni Mediaset». E, ancora, «nel secondo e terzo anno dalla data del closing Vivendi non potrà effettuare, direttamente o indirettamente, acquisti di azioni Mediaset che la portino a possedere una partecipazione complessiva superiore al 5% del capitale sociale di Mediaset». In teoria, con una procedura d’urgenza, potrebbe essere fatto valere il divieto a salire oltre il 3,5% che era stato concordato, chiedendo la sterilizzazione dei diritti di voto. Ma è più probabile che la via per la sterilizzazione dei diritti di voto di Vivendi passi dalla denuncia presentata per aggiotaggio, dopo la quale, per ora contro ignoti, la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta.
È evidente, comunque, che in questa fase Berlusconi conta anche sull’appoggio del sistema-Paese per respingere l’assalto. Il Governo ha battuto un colpo e, anche se strumenti diretti per poter intervenire su aziende private non ne ha, la moral suasion è una via praticata ovunque, certamente più altrove che in Italia. Se poi la contesa dovesse sfociare in un’Opa, il conto della spesa solo per quanto riguarda l’equity, considerato che si dovrebbe procedere con un’Opa a cascata su Eitowers e la spagnola Telecinco, si aggirerebbe sui 7 miliardi. In capo a Mediaset c’è un debito dell’ordine di 1,1 miliardo e su molti contratti di finanziamento è prevista la clausola di change of control che farebbe scattare l’immediato obbligo di rimborso.