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 2016  dicembre 15 Giovedì calendario

Riconquistare i perdenti della crisi

I due eventi politici più rilevanti e dirompenti del 2016 – Brexit e l’elezione di Donald Trump – mostrano al mondo che la storia finora raccontata sui benefici della globalizzazione non basta più. Se la povertà assoluta si è ridotta nei Paesi emergenti durante gli ultimi 30 anni grazie alla globalizzazione, i cittadini dei Paesi occidentali e sviluppati hanno visto i loro redditi crescere a un ritmo inferiore rispetto al passato, in qualche caso calare e le diseguaglianze all’interno delle proprie nazioni aumentare.
In tutti gli Stati del Sud degli Usa, oggi almeno il 15% della popolazione viene considerato sotto la soglia di povertà e non si tratta solo delle tradizionali categorie e etnie, ma riguarda anche quelli che un tempo erano ceto medio. Nel Regno Unito, una classe media rurale impoverita si è spaventata di fronte ai 65 mila rumeni e bulgari che sono entrati nel Paese durante il 2015 (erano stati 10 mila solo 3 anni prima). In diversi Paesi europei (Italia, Germania, Austria, Spagna) il numero di persone a rischio di povertà ha ripreso a crescere a partire dal 2009, dopo anni di costante declino.
Categorie sociali che prima avevano un ruolo importante nelle società occidentali sono ora ai margini.
I cittadini dei Paesi economicamente avanzati hanno preso coscienza di queste tendenze, messo in dubbio i benefici della globalizzazione, e si affidano a populismi abili a conquistare voti, ma la cui capacità di governare questi cambiamenti in modo costruttivo è tutta da verificare.
Il G7 di Taormina a maggio e le celebrazioni dei 60 anni della nascita della Comunità europea previste a Roma per fine marzo, fanno ricadere sull’Italia la responsabilità di proporre un diverso approccio verso la globalizzazione.
Il nuovo presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha dalla sua questi anni da Ministro degli Esteri e quindi una approfondita conoscenza dei meccanismi e dei riti di questi eventi. Dovrà dimostrare di avere anche le idee chiare per far essere l’Italia protagonista nelle proposte e non solo farla emergere come un’ottima padrona di casa.
I sessant’anni del Trattato di Roma devono essere il punto di partenza verso un’Unione Europea che prende seriamente in considerazione le istanze dei perdenti dalla globalizzazione, ad esempio dando forma a politiche sovranazionali per la crescita (leggasi eurobond) o a un bilancio europeo capace di far fronte a choc di breve periodo.
Il G7 di Taormina sarà il primo al quale partecipa il Presidente eletto Trump. Potrebbe arrivare all’appuntamento con idee forti in merito alla riduzione del commercio, l’introduzione di barriere e in genere mostrare un atteggiamento aggressivo verso i mercati – Cina in testa – che più hanno beneficato della globalizzazione. All’Italia e al suo premier Paolo Gentiloni spetta il compito di incanalare questa eventuale aggressività – logica conseguenza del mandato che Trump ha ricevuto dai cittadini americani – verso politiche che tengano conto che non si può tornare indietro perché i mercati, quotidianamente, sono ormai troppo interconnessi tra di loro.
Le proposte sul tavolo devono però spiegare come il commercio e l’apertura dei mercati, la maggiore integrazione tra nazioni europee, il rispetto rigoroso delle regole di base del mercato del lavoro e una politica di redistribuzione adeguata possono allargare la platea dei beneficiari della globalizzazione. In questo 2017, anno primo dell’era Trump, l’anno dell’avvio della Brexit, l’anno delle elezioni tedesche e francesi, l’Italia deve mettere sul tavolo una proposta credibile contro i populismi senza contenuti che si aggirano per il mondo.