la Repubblica, 15 dicembre 2016
Front National. Il tabù delle alleanze
La ragione dei perdenti fa sempre male. Bruno Mégret mastica amaro ancora oggi. «Marine Le Pen mi ha copiato nella strategia politica, ma non si è dimostrata all’altezza», commenta l’ex dirigente del Front National. Alla fine degli anni Novanta fu lui a promettere lo sdoganamento del Fn. Finì male, tradimenti reciproci e una rancorosa scissione tra Mégret e Le Pen (senior). Quasi vent’anni dopo la figlia si è ispirata proprio a quell’esperienza, alle idee dell’uomo più odiato da suo padre. «Anche io avevo cercato di limitare le provocazioni del Vecchio», ricorda Mégret. «E avevo tentato di creare un partito di governo», continua, ricordando una battuta del patriarca. «Il potere, Dio ce ne scampi!», ripeteva spesso Jean-Marie Le Pen. «Anche io ero convinto, come Marine, della necessità di un radicamento a livello locale», continua Mégret, grazie al quale il Fn conquistò le sue prime città, come Tolone. Un fallimento.
A Vitrolles, nel sud, sua moglie aveva tentato di instaurare la “preferenza nazionale” negli incentivi sociali alle famiglie. L’indignazione sollevata da quella proposta aveva costretto i coniugi Mégret alla marcia indietro. «Favorire i francesi nei sussidi pubblici è ciò che propone adesso il Fn», osserva l’ex politico, che si è ritirato a vita privata e parla di rado con i giornalisti. Gran parte dell’attuale gruppo dirigente del Fn è composto da ex mégretisti, come Nicolas Bay, segretario del partito, o Louis Alliot, vice-presidente e compagno di Marine Le Pen. Anche Philippe Olivier, uomo di fiducia del dissidente, è tornato nei ranghi. Era stato cacciato con la moglie Marie-Caroline, primogenita di Jean Marie. «Detto questo, non credo Marine arriverà all’Eliseo», commenta Mégret che critica una leader «senza colonna vertebrale ideologica». Nessuna vittoria possibile senza alleanze, spiega colui che si era battuto per accordi con la destra. La Presidente, invece, ripete di voler far da sola. «In un sistema tripolare finisce sempre due contro uno. Il Front National – conclude Mégret – dovrebbe avere il coraggio di dire chiaramente che il suo elettorato è a destra, non a sinistra».
A cinque mesi dal voto, Marine Le Pen sembra avere davanti a sé una strada spianata grande quanto un boulevard. A seconda degli istituti, potrebbe ottenere tra il 25 e il 30% al primo turno delle presidenziali. Il suo problema è il dopo. Come guadagnare oltre venti punti, arrivando alla soglia del 50% per entrare all’Eliseo? La leader Fn potrebbe uscire vittoriosa dal primo turno del 23 aprile, poi essere sconfitta al ballottaggio del 7 maggio, magari con un risultato onorevole, intorno al 45%. E poi, sempre per l’inerzia del sistema, finirebbe umiliata alle elezioni politiche con meno dei 15 deputati (su 577), senza poter neppure formare un gruppo parlamentare.
È lo scenario più prudente, ipotizzato da Jérôme Fourquet, direttore dell’istituto di sondaggi Ifop. «La crescita del Fn è stata spettacolare: dal 2012 a oggi è passato dal 18 al 28%. Ma in alcuni elettorati, artigiani, operai, disoccupati, il partito fa già il pieno, con picchi del 40%. È difficile andare oltre quella soglia». La candidatura di François Fillon è una cattiva notizia per Le Pen, anche se lei nega. «Fillon – nota Fourquet – può spostare voti in bilico tra destra conservatrice e Fn». Il politologo Nicolas Lebourg, membro dell’Observatoire des radicalités politiques, è meno ottimista. «Non credo più alla teoria del soffitto di cristallo: se esistesse davvero non si sposterebbe di volta in volta», taglia corto. «Alla presidenziale c’è un unico grande collegio elettorale, quindi la logica è molto diversa dalle altre elezioni. Il Fn andrà a cercare voti nelle aree sociali dove è meno forte».
Lo spettro che si aggira tra i dirigenti del Fn è quello dell’elettore castoro. Lo chiamano proprio così nei loro report interni. Spunta tra il primo turno e il ballottaggio per costruire una diga contro l’estrema destra, anche a costo di votare per l’avversario politico, com’è accaduto alle regionali del dicembre scorso. Marine e la nipote Marion erano arrivate in testa in due regioni ma alla fine sono state battute. «Sappiamo già che dopo il primo turno si scatenerà un clima isterico contro di noi», prevede il vice-presidente Florian Philippot ricordando le parole dell’ex premier Manuel Valls che ha paventato il “caos”, la “guerra civile” con l’arrivo del Fn al potere. «Ci sono elettori che hanno timori, sono in buona fede. Sono loro che dobbiamo convincere». Lo slogan che appare sui nuovi manifesti è stato inventato proprio da Marine. “La France apaisée”, la Francia pacificata.
David Rachline racconta un aneddoto. Durante un viaggio in treno, il sindaco di Fréjus e attuale direttore della campagna elettorale per le presidenziali, chiacchiera con un controllore figlio di immigrati. «All’improvviso mi dice che è d’accordo con le nostre idee ma che se vinceremo, lui sarà cacciato dalle Ferrovie, quindi non ci voterà mai. Sono queste leggende che ci impediscono di vincere». Rachline assicura che il Fn non vuole trattare in modo diverso “Abdel, Patrick o David”. «Dobbiamo fare in modo che Marine venga giudicata per le sue idee, non in base a caricature». Dietro le quinte, il giovane senatore, appena 29 anni, fa capire che il discorso delle alleanze non è più tabù. «Governeremo con una maggioranza che non sarà solo del Fn», spiega, evocando convergenze con “eletti e quadri di altri partiti” su alcuni aspetti, come il “patriottismo economico”. Le Pen non vuole presentare una squadra di possibili ministri, una sorta di governo-ombra. Sarà libera di trattare e promettere al momento più opportuno, allargando forse lo sguardo oltre il suo recinto politico. «È la candidata del popolo – conclude Rachline – non di un partito. Mettetevelo bene in testa».