Corriere della Sera, 15 dicembre 2016
Il flop di «Politics», un format che andava modificato in corsa
Che gran signore Gianluca Semprini! Ha chiuso la sua trasmissione chiedendo scusa, cosa davvero rara: «È stato un fallimento, la colpa è tutta mia… Hanno infiltrato una spia in redazione, chissà che cosa doveva scoprire mai». Così si comporta un professionista. Ma davvero è solo colpa sua? «Politics» era nato non solo per sostituire «Ballarò», ma per creare un format capace di affrontare in modo nuovo i temi politici: maggiore stringatezza e minore fumosità, domande «serrate» (quelle che non dovrebbero lasciare scampo all’evasività), partecipazione del pubblico attraverso i social, cose del genere. Nel congedo di Semprini si coglieva una punta di polemica con la direzione. L’ho già scritto: la bravura di un direttore di rete si coglie non quando i programmi vanno bene, ma quando c’è bisogno di un intervento strutturale, di un cambiamento in corso d’opera. Per esempio, dopo le prime due puntate, bastava invertire l’ordine del palinsesto, far precedere «Politics» da «Mi manda Raitre», in modo che il programma potesse crescere con calma, tutelato dagli attacchi spesso sconsiderati.
In una recente intervista, Daria Bignardi ha scaricato tutte le colpe sul povero Semprini: «Il gruppo di lavoro è importante, e in quello di “Politics” ci sono ottimi professionisti che hanno dato l’anima, ma in un programma la cosa più importante è la guida, il capo progetto. La politica in prima serata è faticosissima, bisogna essere molto appassionati dell’argomento, quasi ossessivi, per costruire qualcosa di nuovo. Non so se Gianluca in fondo si sia davvero appassionato alla politica. E posso capirlo». Certo, Semprini avrà fatto errori d’inesperienza, ma c’è anche da tener conto della qualità dei politici. Credo siano pochi quelli in grado di sostenere dialoghi meno fumosi e affrancati dai luoghi comuni.In una tv in cui gli insuccessi sono sempre colpa degli altri, c’è un conduttore che si è assunto la responsabilità del flop.