LaVerità, 7 dicembre 2016
Salgono le stelle, calano i guadagni. I conti in tasca ai super chef
Vedere le stelle, quelle della Guida Michelin, è da sempre il sogno di ogni ristoratore. Ma più spesso capita che, a essere stellari, siano i costi che un ristorante deve sostenere. Così succede che un ristorante, magari gestito anche da uno chef di fama, non sempre rappresenti un business redditizio. Secondo i dati diffusi dalla società di consulenza Jfc, nel 2016 i ristoranti stellati (così chiamati perché gli esperti della guida Michelin possono attribuire ai più raffinati una, due o tre stelle in base alla qualità che offrono) realizzeranno (in Italia in totale sono 334) un fatturato stimato di 259 milioni di euro (in aumento del 4,1% rispetto ai 248,5 milioni del 2015). Calcoli alla mano, una media di 775.000 euro a ristorante dividendo i ricavi per il numero di ristoranti. Facendo un paragone con i non stellati, questi ultimi riescono a totalizzare un fatturato non troppo inferiore a quelli con la famosa stella.
Secondo la Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, i cosiddetti ristoranti di eccellenza (quelli presenti nelle tre maggiori guide di settore, ovvero Michelin, Espresso e Gambero Rosso, in totale 4.465 con un prezzo dai 25 ai 100 euro a persona) ogni anno riescono a realizzare in media un fatturato di 651.000 euro (dati 2015), 120.000 in meno rispetto agli stellati. In media, crescono del 3% l’anno, solo l’1% in meno rispetto ai locali blasonati.
«Avere la stella contribuisce senz’altro al fatturato, ma soprattutto ti regala un’apertura internazionale importante per la clientela straniera», spiega lo chef Cristiano Tomei (una carriera in tv e un ristorante stellato).
A ogni modo, in media chi si affida ad un ristorante con una stella spende circa 112 euro, chi preferisce il due stelle arriva a 178 mentre chi vuole il meglio, arrivando alla terza stella, deve sborsare in media circa 243 euro.
Del resto, come sottolineano i dati Fipe, gestire un ristorante di lusso (da 75 euro a persona in su, con o senza stella), non è per niente facile. Sebbene il fatturato di questi locali sia spesso alto, in molti casi lo sono anche le spese e, così facendo, i guadagni spesso si assottigliano.
Come fa notare il noto chef Claudio Sadler (ha alle spalle sei libri di cucina e gestisce un ristorante a Milano): «Se superi il 25-30% del valore di un piatto sei rovinato. Ma in particolare bisogna stare attenti alla gestione della cantina: molti si fanno prendere la mano e comprano troppo, così si rischia di rimanere con bottiglie invendute».
Secondo i dati Fipe, in media, questi ristoranti di alto livello sono costituiti almeno da 17 dipendenti che assorbono il 32,6% del fatturato annuo. A questi costi bisogna aggiungere quelli delle materie prime, che rappresentano un altro 32,6% del valore della produzione, più quelli per l’affitto (circa l’8%), i costi di gestione (16,1%), la promozione (3,6%) e altri imprevisti (un altro 7%). Insomma, riuscire a guadagnare con un ristorante top non è cosa da tutti e la soluzione migliore, stando ai dati Fipe, è puntare su una clientela selezionata e disposta a spendere. Non a caso, il 50% dei locali oltre i 75 euro a persona in un anno riesce a offrire tra i 7.500 e i 10.000 coperti, pochi se calcolati sui giorni di apertura in un anno. In particolare, i ristoranti stellati danno da mangiare ogni anno a una media di 6.318 clienti, circa 17 al giorno se si divide per 365 giorni l’anno. Ma il fenomeno dei ristoranti stellati ha il grande pregio di generare anche un significativo indotto. La fama di uno chef stellato, particolarmente se è anche una star televisiva, spinge gli ospiti a soggiornare nella zona del ristorante, con vantaggi per alberghi e attrazioni locali.
Secondo i dati di Jfc, emerge che – a livello nazionale, escludendo coloro che già soggiornano in loco – gli ospiti che alloggiano almeno una notte in alberghi, resort, b&b, agriturismi dopo essere stati clienti del ristorante stellato sono pari al 26,2% per quanto riguarda i nostri connazionali e al 33,9% per quanto riguarda gli stranieri. Questo dato deve essere analizzato unitamente a un altro elemento, che è quello legato alla composizione della clientela dei ristoranti stellati: il 52,6% di chi prenota da Carlo Cracco o Antonino Cannavacciuolo è di nazionalità italiana, mentre il 47,4% arriva dall’estero. Ma andiamo a vedere nel dettaglio i bilanci di tre società legate alle chef star italiane del momento: Carlo Cracco, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri, i tre protagonisti di Masterchef. Al 31 dicembre 2015 la Cracco Investimenti, il cui presidente è il noto chef allievo di Gualtiero Marchesi, aveva un fatturato di 1,2 milioni di euro, in netto calo rispetto ai 3,88 milioni dell’anno prima. Più stabile, invece, l’utile: nel 2015 Carlo Cracco aveva messo da parte 677.500 euro, leggermente meno rispetto ai 731.500 euro dell’anno prima. In netta crescita, invece, il valore della produzione della Ca.pri srl, la società di Antonino Cannavacciuolo, il simbolo del Ristorante hotel Villa Crespi a Orta San Giulio (Novara), di cui è socia anche la moglie Cinzia Primatesta. A fine 2015 la società del protagonista di Cucine da incubo aveva registrato un fatturato di 5,22 milioni di euro, in netta crescita rispetto ai 3,82 milioni del 2014. Ma a fronte di numeri tanto soddisfacenti, i costi si sono fatti sentire e l’asticella dell’utile a fine 2015 si è fermata a 370.600 euro, in crescita rispetto ai 240.600 euro del 2014. Decisamente più contenuto il patrimonio del terzo chef di Masterchef, Bruno Barbieri. Pur essendo lo chef italiano con il maggior numero di stelle, è solo azionista della finanziaria di famiglia F.I.R (il cui ultimo bilancio mostra una perdita nel 2010 per 44.000 euro e un utile nel 2011 di 630 euro). Barbieri, inoltre è anche amministratore unico della Maranello wines, una cooperativa che commercia vini all’ingrosso e che ha chiuso il 2013 con 840.000 euro di fatturato.
Insomma, gestire un ristorante – stellato e non – è un business difficilissimo. Al crescere del conto, quasi sempre, crescono anche i costi. E, così facendo, grandi fatturati spesso si trasformano in utili non altrettanto entusiasmanti. A questo punto, l’unico modo per far crescere i guadagni diventa quello di passare dai fornelli alle telecamere. Sarà forse meno creativo, ma è decisamente più redditizio.