Libero, 13 dicembre 2016
I cinque paradisi fiscali nell’Unione europea
Altro che isole caraibiche, sperduti atolli e lontani paradisi fiscali. Il regno dell’elusione, dell’evasione, delle tasse ribassate (o del tutto assenti), è qui. In Europa. A portata di mano. Basta un treno, a volte una bicicletta per varcare il confine e ritrovarsi nel bengodi della tassazione zero (o poco più).
Benvenuti, signore e signori, nel magico mondo degli Stati dove le tasse si pagano in dosi omeopatiche (quando non sono del tutto assenti). Quando poi, addirittura, anche Stati che non rientrano nella netta definizione di “paradiso fiscale”, accordano vantaggi segreti alle imprese pur di attrarle, di farle investire, e magari aprire uno stabilimento, o anche solo una sede amministrativa, così da giustificare lo “sconto”.
A fare le pulci come ogni anno è la Confederazione internazionale Oxfam, un insieme di 20 organizzazioni (molte non governative e Onlus). che lavorano in rete in oltre 90 Paesi. Le associazioni hanno lo scopo dichiarato di dare vita ad un «movimento globale per il cambiamento, per costruire un futuro libero dall’ingiustizia della povertà».
Ideologia a parte, il lavoro svolto da Oxfam è encomiabile anche perché basato incrociando dati e studi di organizzazioni internazionali (Onu, Ocse, Fmi, Banca Mondiale, ecc), con quelli forniti dai singoli Paesi.
Chi sono. L’aspetto sorprendente è che nella culla d’Europa dopo anni di proclami, assicurazioni e impegni ampollosi contro l’evasione i Paesi dell’Europa continentale che rientrano nei spiccano ai primi 10 posti di questa infelice classifica sono ben quattro: Paesi Bassi, Svizzera, Irlanda e Lussemburgo (senza considerare Cipro e isola di Jersey). In totale sono 15 i paradisi fiscali societari più aggressivi al mondo secondo il nuovo rapporto «Battaglia fiscale» pubblicato giusto ieri da Oxfam. La classifica mondiale assegna il podio a Bermuda, Isole Cayman e Paesi Bassi, seguiti da Svizzera, Singapore, Irlanda, Lussemburgo, Curaçao, Hong Kong, Cipro, Bahamas, Jersey, Barbados, Mauritius, Isole Vergini britanniche. Questi paradisi fiscali sono tra i principali responsabili, secondo l’associazione internazionale «a livello globale, della dilagante corsa al ribasso sulla tassazione degli utili d’impresa che sottrae miliardi di euro alla lotta alla disuguaglianza e alla povertà». Insomma, non è solo la classica evasione ed elusione, quanto l’applicazione di una tassazione di favore (spesso pari allo zero), favoritismo che arricchisce gli azionisti ma drena risorse fiscali dai Paesi e dalle tasche dei poveri cittadini contribuenti.
100 miliardi persi. Ma quanto costano in soldoni questi favoritismi fiscali? Il dato aggregato stimato (ma probabilmente è anche sottostimato) è superiore ai 100 miliardi l’anno. «L’elusione fiscale delle multinazionali», spiega l’indagine Oxfam, «costa ai Paesi più poveri almeno 100 miliardi di dollari ogni anno, una cifra sufficiente a mandare a scuola 124 milioni di ragazzi e a coprire le spese sanitarie per salvare la vita di 6 milioni di bambini», fa di conto l’associazione.
Ma il problema non sono solo i veri e propri paradisi fiscali che sopravvivono serenamente nel cuore d’Europa e Stati Uniti nonostante i proclami e i formali impegni degli ultimi anni.
Gli accordi segreti. La verità è che, sempre secondo il Rapporto, «i paradisi fiscali siano solo la punta dell’iceberg. Il ricorso a pratiche fiscali nocive per attrarre investimenti è ampiamente diffuso in molti Paesi del mondo: tra i paesi del G20 l’aliquota sui redditi d’impresa è scesa dal40%di25annifaameno del 30% di oggi».
In effetti i singoli Stati, compresa l’Italia e tutti quelli che solitamente si stracciano le vesti contro l’evasione e l’elusione internazionale non è che siano proprio campioni di trasparenza. Molto in voga soprattutto negli ultimi anni con la crisi che ha assottigliato i margini e ridotto l’occupazione e gli investimenti è la facoltà di concedere sconti, favori fiscali e bonus di ingresso alle grandi imprese al fine di attirarle, creare posti di lavoro, impianti, e quindi (si spera), anche ricchezza. In sostanza si adotta una tax-ruling, un accordo tra un’autorità fiscale e un contribuente (persona fisica o giuridica). «Gli accordi fiscali segreti hanno cominciato ad attrarre sempre più l’attenzione del vasto pubblico da quando si è saputo che le multinazionali se ne avvalgono per avere copertura legale a pratiche di elusione fiscale. I documenti trapelati con lo scandalo LuxLeaks erano Apa (Advanced pricing agreements, ndr)», ricorda Oxfam.
Insomma, noi paghiamo tutto fino all’ultimo centesimo. Le multinazionali trattano condizioni di favore e elargiscono favolosi dividendi. E anche qualche consulenza a posteriori ad abili ex ministri, dirigenti di Stato, banchieri.