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 2016  dicembre 14 Mercoledì calendario

Sorpresa, le scimmie possono parlare

Domanda da un milione di dollari: che cosa ci rende umani e ci distingue dagli animali? Qualcuno risponderà: «Niente».
Ma chiunque prenda sul serio la domanda e la risposta converrà che almeno una delle caratteristiche distintive dell’essere umano è la capacità di parlare. C’è una zona grigia, però; la scienza documenta il caso del pappagallo Alex che sapeva pronunciare più di 100 parole, mentre le scimmie, che dal punto di vista evolutivo sono vicine a noi molto più dei pappagalli, fanno solo vocalizzi bestiali. E ancora a proposito di evoluzione: quale nostro antenato ha smesso di essere una scimmia e ha cominciato a diventare umano?
La domanda non è retorica e attende una risposta concreta. Di recente, sulla base di prove fossili, è stata negata la capacità di parlare di quella specie di uomo-scimmia che era l’Homo erectus. Si legga a questo riguardo «Il ragazzo del fiume» di Alan Walker e Pat Shipman.
Ma il dibattito è aperto da un paio di secoli. Secondo Darwin, le scimmie non sanno parlare non perché il loro apparato anatomico non sia adeguato, ma solo perché non è sostenuto da un cervello capace di elaborare i suoni. E adesso uno studio pubblicato su «Nature» porta acqua al mulino di Darwin. Il capo del team di ricercatori, William Tecumseh Sherman Fitch, dice addirittura, con vis polemica: «I paleontologi che esaminano i fossili sprecano il loro tempo, cercando di capire da quei reperti se i nostri antenati erano in grado di parlare, perché tutti i primati possono farlo, da milioni di anni». E Sherman ritiene di averlo dimostrato con un esperimento su un macaco, che è una scimmia molto primitiva e con un cervello molto piccolo.
Sherman (discendente del famoso generale della guerra di Secessione) è un biologo evoluzionista dell’università di Vienna: ha condotto l’esperimento con un neuroscienziato di Princeton, Asif Ghazanfar.
I due hanno ripreso ai raggi X il macaco, di nome Emiliano, mentre mangiava, sbadigliava, faceva schioccare le labbra ed emetteva una gran varietà di vocalizzazioni. Hanno così individuato 99 configurazioni della corde vocali di Emiliano, poi hanno ricostruito al computer un modello dei suoni che la scimmia è in grado di emettere in base alla sua anatomia. È emerso che il macaco è capace di pronunciare tutte le cinque vocali e le consonanti.
Compiendo un passo ulteriore, suggestivo ma anche un po’ inquietante, i due scienziati hanno realizzato la traccia audio di come suonerebbe la domanda «will you marry me?» («vuoi sposarmi?») sulle labbra del macaco, se il suo cervello fosse in grado di guidare a quel fine le corde vocali, i muscoli della bocca, la lingua eccetera. Risultato: la frase, pronunciata da questo Emiliano virtuale, suona sgraziata ma comprensibile.
Sherman ne deduce che «l’apparato anatomico del macaco sarebbe perfettamente in grado di parlare, se ci fosse a guidarlo un cervello umano». Sottolinea che il macaco è una scimmia molto primitiva, i cui antenati comuni con molte altre scimmie, e con l’uomo, risalgono a decine di milioni di anni fa, e ne deduce che praticamente tutte le scimmie sono in grado di parlare, dal punto di vista anatomico.
È una deduzione logica? Abbiamo qualche dubbio. Nel corso dell’evoluzione certe abilità si possono acquisire, ma anche perdere. Gli struzzi prima hanno imparato a volare, ma poi hanno disimparato. Se i macachi sono in grado di parlare, non è detto che fossero in grado di farlo anche i più evoluti Homo erectus. Ma per quanto riguarda il macaco Emiliano, lo studio di Sherman e Ghazanfar sembra ineccepibile. E di certo è suggestivo.
Luigi Grassia

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«Lavoro spesso con musicisti di tutto il mondo. A volte la lingua ci divide, ma il linguaggio della musica ci unisce». Peter Gabriel non si è fermato ai colleghi umani e ha provato a suonare anche con le scimmie (era forse lecito aspettarselo da uno che ha scritto «Shock The Monkey»). L’esperimento si è tenuto nel 2001, in collaborazione con la Georgia State University di Atlanta: dopo un po’ di prove, Gabriel ha improvvisato con alcuni bonobo. «È stato quasi come incontrare i tuoi antenati e fare musica con loro», ha detto. Certo, ha aiutato molto il fatto che alle tastiere ci fosse Kanzi, che aveva già suonato con Paul McCartney. Gli esperimenti hanno portato all’attenzione del pubblico l’importante lavoro del «Great Ape Trust», che studia i comportamenti dei grandi primati, ma hanno anche generato due canzoni: «Animal Nation», dello stesso Gabriel, e «Fragile As A Song», del suo bassista Tony Levin. Più ritmata e realista la prima, che contesta le teorie dell’acquisizione del linguaggio formulate da Skinner e Chomsky; più romantica la seconda, che pare una ballata d’amore e invece parla di come uomini e primati possano intendersi con lo sguardo.
Qualche anno più tardi, Gabriel è andato ancora oltre, lanciando l’idea di un’Internet aperta agli animali. Si chiama «Interspecies Internet» e mira a esplorare, incoraggiare e facilitare la comunicazione tra le specie: «Servirà soprattutto per mettere in contatto i ricercatori e i loro soggetti non umani, ma in seguito permetterà a noi e ai nostri bambini di scoprire la natura delle altre specie con cui dividiamo questo pianeta», ha chiarito Gabriel.
Il musicista inglese è in buona compagnia: del progetto fanno parte Vint Cerf, uno dei padri di Internet, lo scienziato del Mit Neal Gershenfeld e la ricercatrice e psicologa Diana Reiss. Cerf ha osservato che «non dovremmo restringere l’accesso a Internet a una sola specie, anche le altre dovrebbero partecipare». E ha aggiunto che la «Interspecies Internet» potrebbe un giorno allargarsi ancora, arrivando a includere specie aliene.
Bruno Ruffilli