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 2016  dicembre 14 Mercoledì calendario

Il verde no, perché è il colore del re. Così la Francia ha scelto la bandiera blu, bianca e rossa ispirandosi all’America

No, non è andata come ci hanno raccontato alle elementari e alle medie sia qui in Francia sia in Italia. Il tricolore blu-bianco-rosso della Republique non è nato il 17 luglio del 1789, tre giorni dopo la presa della Bastiglia, per una di quelle iniziative istrionesche e populiste del marchese di Lafayette, eroe della Rivoluzione americana, gran navigatore tra giacobini e girondini, tra repubblicani e filomonarchici, finito poi nelle fila dei conservatori ai tempi della monarchia di luglio e di Luigi Filippo nel 1830.
Raccontano i sussidiari che quella mattina del 17 luglio, durante una visita a Parigi di uno spaventatissimo Luigi XVI, che aveva come unico obiettivo quello di salvare la pelle, l’intraprendente Lafayette ebbe l’idea di suggerire al sovrano di unire alla coccarda rosso-blu della Guardia Nazionale un nastro bianco, il colore della monarchia.
Tutto falso, scrive in un agile saggio, da pochi giorni in libreria, che mescola storia costume (dell’epoca) aneddoti e retroscena rivoluzionari (Les couleurs de la France, edizioni Hoëbeke, 168 pagine, 34 euro) Michel Pastoureau, storico, esperto di araldica, di simbologia e di colori (ha scritto una serie di libri sul significato e il simbolismo dei colori tradotti anche in Italia per Einaudi e Ponte alle Grazie).
La storia, scrive Pastoureau, è tutta diversa.
Il tricolore francese, come quello italiano del resto (leggere la bella ricostruzione «L’Italia s’è desta. La vera storia del tricolore e dell’Inno di Mameli» di Andrea Zagami e Tarquinio Maiorino edito nel 2011 da Cairo) ha preso la sua forma e i suoi colori definitivi nel tempo, addirittura dopo il 1792 quando cade la monarchia, viene proclamata la Repubblica e un decreto dell’Assemblea nazionale impone l’obbligo per i cittadini di portare la coccarda tricolore durante le manifestazioni pubbliche (e in contrapposizione i lealisti più coraggiosi si faranno vedere in giro per Parigi con la coccarda bianca dei Borbone).
La versione populista e propagandistica di Lafayette, apprendiamo dal saggio di Pastoureau che in questi giorni è esposto in bell’evidenza sugli scaffali delle Nouveauté, delle novità alla Fnac, è smentita anche dal fatto che i colori della Guardia Nazionale non erano il rosso e il blu ma il rosso e il marrone e che non c’è nessuna testimonianza che quel giorno, il 17 luglio dell’89, il re avesse deciso, come gesto di conciliazione, di aggiungere un nastro bianco alla coccarda dei soldati della Rivoluzione. Sarebbe stata una provocazione inaccettabile.
Se la versione di Lafayette non ha fondamento, ne ha ancora meno quella di un giovanissimo Camillo Desmoulins, uno dei leader della prima ora, compagno di Robespierre, Danton, Marat (finito anche lui ghigliottinato durante la restaurazione termidoriana) che, il 12 luglio, due giorni prima dell’assalto alla Bastiglia, arringa la folla ai giardini del Palais Royal chiedendole di scegliersi una coccarda mentre lui si infila sul cappello una foglia di tiglio.
Il messaggio è chiaro: il colore della Rivoluzione è il verde. Durerà meno di 48 ore. Qualcuno farà notare a Desmoulins che il verde è il colore del fratello del re, il conte d’Artois, il futuro Carlo X della restaurazione post-napoleonica e così il tricolore francese vira verso il blu e il rosso.
Che erano poi i veri colori rivoluzionari dell’epoca, i colori della bandiera americana durante la guerra contro gli inglesi (alla quale aveva partecipato anche il marchese de Lafayette) ma anche quelli del Regno Unito (la croce di Sant’Andrea rossa e bianca su fondo blu) che per i rivoluzionari moderati (alla Mirabeau) era già allora un modello costituzionale possibile se la Rivoluzione di luglio non avesse poi preso la strada (giacobina e montagnarda) della repubblica.
Bisogna aspettare il 1792, come si diceva prima, per vedere le prime coccarde ufficiali blu-bianco-rosso che simboleggiano i tre stati della società francese: la nobiltà (bianco), il clero (blu) e il popolo (rosso). E bisognerà aspettare ancora il 1794 per leggere in un decreto che «le drapeau officiel» è quello che conosciamo oggi anche se all’inizio era stato adottato solo dalla marina francese con le bande verticali allo scopo di non confondersi con la bandiera olandese, stessi colori ma a bande orizzontali.
L’Armée, l’esercito, adotterà ufficialmente il tricolore solo nel 1812, mentre durante i moti del febbraio 1848 che avrebbero portato alla Seconda Repubblica, lo scrittore rivoluzionario Alfonso de Lamartine aveva lanciato l’idea, pensate, di abolire il tricolore e di sostituirlo con una bandiera rossa, e qualche decennio dopo, nel 1873, il conte di Chambord, leader del partito monarchico, aveva proposto anche lui di abolire il tricolore considerato un simbolo troppo rivoluzionario.
Per fortuna il dibattito sul tricolore finisce con Napoleone Terzo e il Secondo Impero. Da allora nessuno si sogna più di mettere in dubbio che blu bianco e rosso sono i veri colori della Francia. Soprattutto il blu, scrive Pastoureau nel suo libro. La prova? I giocatori della Nazionale sono Les bleu e così la partita è chiusa.