LaVerità, 13 dicembre 2016
Si riaffaccia il pericolo della patrimoniale
Estate 2012. Palco della Festa dell’Unità. Il deputato Paolo Gentiloni discute con Riccardo Nencini, segretario dei Socialisti italiani, (sarà poi vice ministro alle Infrastrutture del governo Renzi). Dibattono di primarie e di rinnovamento della classe dirigente. Poi, buttato lì, spunta il tema sempreverde della tassa patrimoniale. «Io sono assolutamente d’accordo con la patrimoniale», esclama Gentiloni: «Nel Pd la decisione sta arrivando a una maturazione positiva. Al Lingotto, fu Veltroni, un anno e mezzo fa, il primo a parlare di patrimoniale. Monti ha, in pratica fatto una patrimoniale non progressiva sui patrimoni medio bassi; non ha però colpito i patrimoni immobiliari e mobiliari. Un’operazione va fatta ed è fondamentale, soprattutto in termini di equità: non si possono chiedere ulteriori sacrifici al Paese, se non c’è un principio di progressività della tassazione. Oltre alla patrimoniale, c’è bisogno anche di una riduzione della spesa e della dismissione dei beni pubblici». Pochissime parole, che alla luce dell’incarico a premier diventano un’agenda politica.
Il nuovo governo sembra già avere le idee chiare. D’altronde, già nel 2012 dalle colonne del quotidiano, Europa, lo stesso Gentiloni rivendica il merito di aver portato alla ribalta il tema della patrimoniale e di averlo fatto digerire a una buona fetta del partito che – a suo dire – «aveva accolto la proposta con una reazione un po’ burocratica». Che, tradotto, vuol dire fredda. Ecco, con gli anni il tema si è scaldato. E l’altro ieri Nencini è tornato sull’argomento, rilasciando un’intervista al Secolo XIX. Tra i 4 suggerimenti lanciati al nuovo premier ha inserito proprio la tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze. Un pericolo che a questo punto non va preso sottogamba. Perché a premere di nuovo in questa direzione non è tanto e solo il Pd, ma la contingenza europea e l’intellighenzia di Bruxelles.
A marzo del 2013, a Cipro avvenne il primo bail-in della storia Ue. L’Unione tenne a precisare che Cipro era un caso isolato. Che il rapporto debito/Pil era quasi al 140%. E che Cipro era piena di soldi dei russi e quindi era un caso doppiamente isolato. L’Italia non è paragonabile a Cipro. Ma la malattia non è cosi difforme. Il rapporto deficit/Pil è molto simile e la crisi bancaria è un bubbone pronto a esplodere, come a Nicosia. Nel 2013, il chief economist di Commerzbank, di chiara filosofia tedesco, ipotizzò un prelievo forzoso del 15% sui patrimoni finanziari e sulle case. Aveva argomentato che la ricchezza mediana in Italia era di 164.000 euro, «il che significa che, in teoria, l’Italia non ha una crisi del debito, con un patrimonio netto al 173% del Pil. Quindi in Italia avrebbe senso un prelievo una tantum sulla proprietà immobiliare e un’aliquota d’imposta del 15% sulle attività finanziarie». «Questo sarebbe probabilmente sufficiente a portare il debito del governo italiano al di sotto del livello critico del 100% del prodotto interno lordo».
Premesso che l’Italia morirebbe l’indomani, soprattutto nessuno avrebbe la liquidità per pagare. Già all’epoca facemmo un «conto della serva». In Italia la ricchezza complessiva delle famiglie, compresi i 900 miliardi di passivi tra mutui e fidi, ammontava a circa 8.600 miliardi di euro. Poco più di 5.000 miliardi era il valore delle case e degli uffici. Sui conti correnti bancari e postali c’erano circa 650 miliardi, mentre il risparmio investito in obbligazioni e titoli arrivava a 700 miliardi. Ora, a quel totale andrebbero tolti circa 120 miliardi di euro, persi lungo la strada della crisi. Se applicassimo la ricetta tedesca, dal patrimonio finanziario lo Stato raccoglierebbe poco meno di 300 miliardi di euro.
Se poi le case fossero tassate una tantum di un altro 15% (considerando il valore complessivo di poco più di 4.000 miliardi, diviso per due al fine di fare una media tra prezzi reali e di catasto) ci sarebbe un gettito di altri 300 miliardi. In tutto, fanno 600. Se il prelievo fosse solo su case e conti correnti (perché liquidi), l’incasso complessivo sarebbe di circa 400 miliardi. La cifra giusta per riportare il rapporto debito Pil vicino al 100%. Fantapolitica? Ovviamente, speriamo di sì. L’allarme va però sempre tenuto alto. Perché le banche sono in seria difficoltà. Su Mps si invoca continuamente il salvataggio pubblico. Addirittura si è parlato del fondo Esm, che, tradotto, vuol dire Troika.
Per questo motivo bisogna porre molta attenzione: una volta salvate le banche con denaro europeo, Bruxelles avrebbe mano libera per imporre una cura drastica sul modello «patrimoniale». Immaginiamo che, viste le dichiarazioni di Gentiloni negli anni, Bruxelles non troverebbe alcun freno in Palazzo Chigi. Sarebbe anche pronto il canale di prelievo: a maggio del 2017, infatti, potrebbe essere approvata una volta per tutte la riforma del catasto. Quale occasione migliore per alzare le aliquote? Con la solita scusa di tassare i ricchi si andrebbe a rastrellare gettito sul mattone, che dall’Italia non può scappare. Non sarebbe il colpo d’accetta auspicato più volte dai tedeschi, ma sul nostro Paese avrebbe il medesimo effetto.