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 2016  dicembre 13 Martedì calendario

«Ora mi pignorano la casa e la pensione. Ma il sindaco non può pagare per tutto». Intervista a Marta Vincenzi

La condanna, durissima, a cinque anni di carcere per omicidio e disastro colposo e falso, per le sei vittime dell’alluvione del 4 novembre 2011. Ma per Marta Vincenzi, sindaca Pd di Genova tra il 2007 e il 2012, la seconda bastonata è stata la richiesta di pagare, subito, quei 4,5 milioni di euro (in solido con gli altri imputati condannati, l’ex assessore Francesco Scidone e l’allora responsabile della Sicurezza per il Comune Gianfranco Delponte) come risarcimento alle famiglie delle quattro donne e due bambine morte nell’onda di fango. E per lei, mentre il Comune di Genova attende i pareri dell’Avvocatura e delle assicurazioni per valutare se intervenire in solido, scatta il pignoramento dei beni: la casa e i conti correnti. «Sono nata povera, non è questo il problema – ribatte lei, intenzionata a proporre appello – il vero dolore è stata la condanna». E chiede alla politica di pronunciarsi, subito, con regole certe davanti ai disastri: «Non possono essere i sindaci, soli, a pagare per tutto».
Marta Vincenzi, è arrivata la richiesta di pignoramento per la sua casa. Un colpo al cuore?
«La sentenza dice che coloro che sono stati condannati devono anche rimborsare le parti civili. Non la discuto: le sentenze vanno applicate, fatto salvo che ne va verificata la correttezza, e non ci sono sconti per nessuno, i familiari devono ricevere quanto loro spetta. Per il resto, il momento peggiore non è quando mi sono sentita dire questo: mi sono sentita malissimo quando mi sono sentita definire una colpevole, questo sì. La casa... è un appartamento in una vecchia villa di campagna in Valpolcevera, dove abitano tre famiglie. Ci viviamo dal 1986, abbiamo finito da poco di pagare il mutuo, è grande perché ci vivevano anche mia mamma e mia figlia, c’è l’orto a cui tengo tanto. Ma il mio patrimonio non è tale da poter rifondere tutti».
E quindi chi pagherà?
«Ripeto, ritengo ingiusta la condanna, e infatti ricorrerò in appello. Il processo mi è servito per rifare 500 volte i passi di quei giorni, e in coscienza io non mi sento colpevole, non potevo fare diversamente da quanto ho fatto allora. Sotto il profilo economico, inoltre, non può non intervenire il Comune, c’è un’assicurazione che io stessa avevo confermato e che copre sino a 6 milioni di euro. Ma al di là di me, resta tutto il problema della responsabilità di un sindaco, che dev’essere meglio definita».
Dove si ferma questa responsabilità, secondo lei?
«Io ho detto più volte che fare il sindaco è talmente bello e importante che puoi farlo anche gratis, certamente per non più di cinque anni. Poi... io ho la mia pensione, ho lavorato tutta la vita, me ne porteranno via un quinto ma non faccio la vittima. Però ci rendiamo conto che ci sono un’ottantina di sindaci alle prese con processi del genere? E allora diciamolo: quando si viene definiti come autorità di Protezione Civile, cosa si intende? Bisogna solo sperare nella buona stella, nella fortuna che durante il tuo mandato non arrivino disastri? Bisogna distinguerle, le responsabilità della politica. Se il sindaco è responsabile di tutto, si verso una pericolosa deriva: io non dico che non abbia responsabilità, ma è necessario chiarire quali. Non possono essere tutte e su tutto. Ci vuole una norma precisa, che la politica non ha dato. Bisogna farlo. Perché la tentazione di far risolvere i problemi alla magistratura non ha portato a risultati».
Lei pensava di essere condannata?
«Sì, l’ho pensato molte volte che in primo grado sarebbe andata così. Poi si vedrà, ricorrerò. Speriamo non ci vogliano anni: io cerco di vivere, ma è un limbo che dura da cinque anni, a volte diventa un inferno, altre si schiarisce. Ne uscirò».
Vincenzi, se arriverà l’ufficiale giudiziario, cosa farà?
«Lo farò entrare e gli offrirò un caffè; anche il suo non è un lavoro facile. Io sono nata povera, il resto va e viene, sto comunque meglio di come stavo».