la Repubblica, 13 dicembre 2016
Nodo Italicum a Finocchiaro, è lei il dopo-Boschi
Mentre accoglieva con l’accenno di un sorriso l’abbraccio della ministra Maria Elena Boschi, a festeggiare uno dei passaggi più difficili delle riforme costituzionali al Senato, Anna Finocchiaro, la relatrice, non poteva immaginare che a distanza di qualche mese avrebbe preso il suo posto. E che lo avrebbe fatto proprio in virtù del fallimento di quelle riforme.
«Ha tolto a Maria Elena molte castagne dal fuoco, anche forzando su se stessa», racconta uno dei senatori più vicini alla nuova ministra pd per i Rapporti con il Parlamento, che sul suo istinto di protezione nei confronti della trentacinquenne aveva ammesso: «Mi è scattato il maternage». Un lavoro fianco a fianco, nell’iter della legge al Senato, con la presidente della commissione Affari Costituzionali intenta a mediare e riscrivere per far sì che il testo passasse senza rendere Palazzo Madama – parole sue – «un dopolavoro». «Dopo il referendum l’ho vista rabbuiata – continua il collega – ha passato l’ultimo mese a girare in lungo e in largo per spiegare la riforma, ha cercato in ogni modo di portare dalla sua parte alcuni dei costituzionalisti che la osteggiavano, ha perfino provato a convincere Massimo D’Alema, che a sua volta tentava di convincere lei. Ma non è servito».
«Ringrazio Paolo Gentiloni per la fiducia – dice ora Anna Finocchiaro, unica vera new entry del governo insieme a Valeria Fedeli all’Istruzione – cercherò di lavorare con sobrietà e serietà. Sono convinta che il Parlamento sarà decisivo e centrale, a cominciare dalla questione della legge elettorale: partiremo dalla sentenza della Consulta». Tocca subito il punto, la neoministra. La principale ragione per cui questo governo doveva nascere: la necessità di superare l’Italicum, dopo la pronuncia della Corte costituzionale o prima, come chiede ora il leader Ncd Angelino Alfano.
«Anna sa che sarà dura, ma lei è una solida, ha esperienza. È una scelta ottima», dice il presidente dei senatori pd Luigi Zanda. «Una mediatrice instancabile tra le anime del partito, un soldatino», la descrive chi la conosce. Lei che pianse il giorno della Bolognina, ma seguì il nuovo corso dopo la fine del Pci senza fiatare. Trent’anni in Parlamento, già ministro per le Pari opportunità col governo Prodi, capogruppo del Pd al Senato per due legislature, ex dalemiana, è stata candidata a tutto. Matteo Renzi nel 2013 la bocciò ruvidamente per la corsa al Quirinale: «La ricordiamo per la splendida spesa all’Ikea con il carrello umano», aveva detto. «Parole miserabili», rispose lei. Poi però – in Parlamento – non ha esitato ad aiutare il governo del rottamatore come ha potuto. Da oggi dovrà coordinare il lavoro sulla legge elettorale. Nel Pd rispunta – periodica – la voglia di un ritorno al Mattarellum. Un sistema basato sui collegi uninominali, ma con un 25 per cento di proporzionale. Potrebbe essere la soluzione di bandiera su cui far convergere i frammenti del partito. Soprattutto adesso che, a sorpresa, a rilanciare quella legge è il leader della lega Matteo Salvini. Difficilmente però potrebbe andar bene a Forza Italia che punta decisa verso il proporzionale, e non ci starebbero Ncd e centristi. Per non parlare dei 5Stelle.