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 2016  dicembre 13 Martedì calendario

La riforma dell’Islam. Quel convegno veneziano

Nel settembre 1955 si svolse a Venezia presso la Fondazione Cini un incontro tra intellettuali italiani e islamici per approfondire le relazioni tra la civiltà occidentale e quella islamica. Il resoconto fu riportato da Guido Piovene in un saggio (Processo dell’Islam alla civiltà occidentale). L’accusa da parte dei rappresentanti islamici consisteva nella considerazione che sebbene l’Occidente avesse insegnato all’Oriente metodi di ricerca scientifica e tecnologica allo stesso tempo l’aveva oppresso, anche per via di una asserita presunzione di superiorità culturale. I lavori, compiuti in un periodo in cui il clima internazionale era già carico di tensioni tra le due aree, vennero condotti in un’atmosfera di reciproco rispetto e grande equilibrio, senza mai porre la religione all’origine del contrasto. Venne ricordato che gli islamici credono alla verginità di Maria e alla nascita divina del Cristo, che Islam e Cristianesimo mai potrebbero confliggere se restassero fedeli ai loro insegnamenti e che, pertanto, le scelte politiche e non la religione avevano causato le principali divergenze. Il gruppo islamico, composto da scienziati, religiosi ed economisti riteneva, inoltre, superata l’interpretazione letterale del Corano, ritenuta alla base del fondamentalismo, e riconosceva la necessità che anche l’Islam si aprisse all’idea di libertà politica e di tolleranza. Se oggi si ripetesse lo stesso convegno, si giungerebbe alle stesse conclusioni?
Ferdinando Fedi
ferdinando.fedi@alice.it
 
Caro Fedi,
La sua lettera ha il merito di ricordarci che vi fu una lunga fase storica tra la metà del XIX secolo e la fine del secolo scorso in cui le maggiori società musulmane furono consapevoli della necessità di adattare credenze, istituzioni e stili di vita ai grandi mutamenti generati dalle rivoluzioni politiche, economiche e culturali dell’Occidente. Le personalità più rappresentative del mondo islamico deploravano i regimi coloniali instaurati nei loro Paesi dalle potenze europee, ma sapevano che il passaggio alla modernità sarebbe stato possibile soltanto grazie all’importazione di modelli occidentali.
L’operazione decisiva fu la scrittura dei codici. I riformatori arabi e musulmani capirono che non sarebbe stato sufficiente importare macchine e tecniche di produzione. Occorrevano nuove leggi, corrispondenti alle esigenze giuridiche di società destinate a diventare sempre più laiche. Una bella trasmissione di Gabriella Caramore su Radio 3 («Uomini e Profeti») ha ricordato, nel corso di una delle sue ultime puntate, il Codice civile egiziano del 1883, ispirato da quello francese e modello per altri Paesi musulmani. Ma una grande importanza ebbero anche i Codici commerciali, spesso influenzati, come nella Turchia di Kemal Atatürk, da quello italiano.
Resta da capire, quindi, perché questo processo di modernizzazione ispirato dall’Occidente sia stato duramente contrastato negli ultimi decenni da un forte risveglio islamico che ha coinvolto anche Paesi (Egitto, Iraq, Siria) in cui il processo di secolarizzazione aveva prodotto i migliori risultati. Gli storici ci spiegheranno probabilmente che il ritorno alla fede delle masse arabe è stato provocato dalla inettitudine di Stati che non hanno saputo dare soddisfazione alle più elementari domande della loro società. Ma a noi, in questo momento, preme soprattutto constatare che il fanatismo islamico è un fenomeno storico, legato a particolari circostanze, e non è dovuto alle caratteristiche genetiche dei popoli arabi.
Alla sua domanda se l’incontro di Venezia sia oggi ripetibile, caro Fedi, rispondo che i riformatori musulmani sono molto più numerosi di quanto si creda e che segnali importanti potrebbero venire dall’Università di Al Azhar, la grande scuola del Cairo che è generalmente riconosciuta come la maggiore istituzione teologica dell’Islam sunnita.