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 2016  dicembre 13 Martedì calendario

Occhi e colori di Topazia. Donna inquieta

Un film muto. Lunghe didascalie esplicative, un centinaio fra dipinti e disegni (propri e di altri) e testimonianze. La protagonista? Una nobildonna siciliana, nata nel 1913 a Palermo e morta lo scorso anno a Roma: Topazia Alliata di Salaparuta, temperamento ribelle, la cui curiosità abbatteva ogni limite; intellettuale, pittrice, gallerista, compagna (di Folco Maraini) e madre (tre figlie, fra cui Dacia). Attorniata da coprotagonisti, personaggi secondari, comparse su uno scenario continuamente cangiante: luoghi (Palermo, Bagheria, Casteldaccia, Firenze, Napoli, Giappone, Parigi, Londra, ancora la Sicilia, Roma) ed epoche diverse.
Un film le cui immagini si irradiano ora nel palazzo palermitano Sant’Elia (sino all’11 gennaio), con la regia di Anna Maria Ruta e Fosca Miceli. Il catalogo aiuta. Vita avventurosa di una donna (dagli occhi «sempre splendenti, di un azzurro limpido e profondo», ricorda Dacia che ne ha ereditato i colori) che seguiva le sessioni di nudo all’Accademia di Belle arti di Palermo (nonostante le donne ne fossero escluse), guidava l’automobile, portava i pantaloni e fumava. Il tutto, in una Sicilia anni Venti e Trenta del Novecento, dove ci si scandalizzava per molto meno. Coadiuvata, Topazia, in questo precorrere i tempi, dal padre Enrico col quale aveva un rapporto straordinario. Diverso, invece, quello con la madre Sonia, donna egocentrica, figlia di un diplomatico cileno di origine spagnola, nata a Parigi, che aveva studiato canto con Enrico Caruso a Milano, dove aveva incontrato il giovane duca siciliano col quale s’era sposata. Ma le era rimasto il rimpianto per la lirica abbandonata.
Ed ecco i dipinti di Topazia: il ritratto del padre, scorci della villa di Valguarnera, case rosse, donne alle fonti, pannocchie, autoritratti, vedute montane. E i disegni: Fosco che studia alcune piante, che fuma la pipa o che si arrampica nudo su un costone, ritratti delle figlie, donne al pianoforte e, fra i più interessanti, quello intitolato Sarebbe stato divertente aiutare il Padreterno a inventare i fiori.
Qua e là fanno capolino Nino Franchina, Renato Guttuso, Lia Pasqualino Noto, Piera Lombardo, Pippo Rizzo, Paul Guillaume (mercante di Picasso, che le dedica un disegno). Un piccolo «capitolo» della mostra a Sant’Elia è dedicata agli anni del Giappone, quando Topazia segue Fosco in Tibet e in Giappone, dove è assistente all’Università imperiale di Hokkaido. La guerra e il rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò li faranno finire, nell’ottobre del ’43, in un campo di detenzione giapponese, sino al settembre del ’45.
Topazia rientra in Sicilia ed è costretta ad occuparsi dell’azienda di famiglia, che produce il Corvo di Salaparuta. Quando, tempo dopo, Fosco torna in Giappone, la loro favola si rompe e si separano. Compaiono Danilo Dolci, Enzo Sellerio, Bruno Caruso, Mario Samonà.
Come gli uccelli migratori, Topazia vola a Roma dove, nel ’59, con una mostra di Andrea Cascella, apre la Galleria Trastevere. Ne scrivono Gatto, Sinisgalli, Venturi, la Bucarelli, Moravia. La galleria apre ai giovani. Fra questi, Lucio Pozzi, che sposerà Dacia. La «Trastevere» diventa centro d’incontro di artisti e letterati: Colla, Rotella, Calder, Burri, Cagli, Savinio, la Guggenheim, Villa.
Topazia abbandona matita e tavolozza. Qualcuno ricorda il paesaggio di Capo Zafferano. «Tra le pale di fichidindia e i rami di un albero, con gli occhi dell’anima – scrive Sergio Palumbo —, come per magia, si può vedere un soffione che leggero volteggia nell’aria».