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 2016  dicembre 11 Domenica calendario

Quasi un’ora di anticamera e domande trabocchetto. Così Donald sceglie la squadra

Quando la scorsa settimana l’ex governatore della Georgia Sonny Perdue è uscito dall’ascensore al ventiseiesimo piano delle Trump Tower per un colloquio con The Donald, si aspettava che il presidente eletto e una schiera di suoi collaboratori lo avrebbero sottoposto a una sorta di terzo grado. Qualcosa di simile ai polemici confronti nell’elegante sala riunioni del tycoon resi celebre del programma televisivo “The Apprentice”.
Quello che ha trovato è stato invece un Trump calmo e premuroso, seduto ad una scrivania piena di carte e riviste in un grande ufficio ad angolo zeppo di cimeli e arredato in uno stile che sembra non essere mai stato cambiato dagli anni Ottanta. Ai lati, in silenzio, Nick Ayers, assistente del vice presidente eletto Mike Pence e il chief-strategist Stephen Bannon. Dopo aver invitato Perdue a sedersi di fronte alla sua scrivania è Trump a gestire il colloquio.
Per più di dieci anni, milioni di spettatori americani hanno seguito in tv il reality show “The Apprentice” dove Trump, sottoponeva a difficili colloqui gli aspiranti candidati tormentandoli con un misto di arroganza e sdegno. Ma nelle ultime settimane gli incontri che il neo presidente eletto ha organizzato nel suo ufficio di Manhattan, o, occasionalmente, nel suo golf club di Bedminster in New Jersey, o nella sua villa Mar-a-Lago di Palm Beach in Florida con gli aspiranti collaboratori del suo governo, hanno avuto toni molto meno teatrali dello spettacolo televisivo.
Lo stile dei colloqui di Donald Trump nella vita reale è diretto ma col tono della conversazione. Lui non prende mai appunti né sembra riferirsi ad una lista preconfezionata di domande. Ma ha dossier su ciascun candidato e dimostra spesso di conoscere dettagliatamente il passato e le esperienze della persona che ha di fronte. Durante questi incontri raramente mangia o beve e non si toglie mai la giacca. Se il colloquio si svolge nel suo ufficio di New York, trova il modo di mettere in mostra la vista mozzafiato su Central Park che si apre alle sue spalle.
I politici chiamati a questi incontri, costretti a sfilare di fronte ai giornalisti che presidiano l’entrata tutta bronzo e oro della Trump Tower raccontano che il presidente eletto rivolge loro domande la cui risposta non può essere un semplice “sì” o “no”. E che ha poca pazienza nei confronti di risposte contorte.
Secondo Newt Gingrich, ex speaker della Camera, nello scegliere i membri del suo governo e mettere insieme la futura amministrazione, Trump segue la stessa strategia usata per costruire il suo impero multimiliardario. «È abituato a definire i ruoli, a misurare le capacità e a formulare giudizi», spiega Gingrich. «Fa domande del tipo “Saresti in grado di gestire il mio golf club? Potresti dirigere il mio albergo? Potrei volere un tuo ristorante nel mio palazzo?”».
Rispetto ai predecessori Trump sta prendendo più attivamente parte alla scelta di coloro che formeranno il suo gabinetto. George W. Bush, ad esempio, raramente parlò personalmente con i prescelti per le diverse carica – come racconta Clay Johnson III che gestì la sua transizione alla Casa Bianca nel 2000. E anche Barack Obama si limitò ad incontrare solo i prescelti per ciascun incarico: incontri mirati a quattr’occhi, che avevano semplicemente lo scopo di confermare che la persona in questione fosse davvero quella giusta, a ratificare una decisione praticamente già presa. Lo racconta Dan Pfeiffer, che nel 2008 fu uno dei pià alti responsabili della sua transizione.
Alla Trump Tower, in attesa di essere ricevuti dal presidente eletto, diversi membri del Congresso, generali, manager e gli altri personaggi convocati, fanno conversazione di fronte all’ufficio di Trump.
Il depuato Lou Barletta, candidato alla carica di segretario per la Sicurezza nazionale, ha dovuto attendere per più di quarantacinque minuti: e per trascorrere il tempo si è intrattenuto col suo collega Michael Mc-Caul, repubblicano del Texas.
Per scegliere i candidati e valutare i suoi futuri collaboratori Trump si affida principalmente al suo istinto e, dicono coloro che lo circondano, privilegia affinità personali e spirito d’iniziativa. Ma tiene conto anche del giudizio dei suoi consiglieri più stretti: in particolare quello del suo vice Mike Pence e della sua figlia maggiore Ivanka.
Trump tiene molto alla lealtà dei suoi collaboratori e interroga minuziosamente i candidati per sapere in che modo hanno contribuito alla sua elezione. Scott Brown, l’ex senatore del Massachusetts che ha incontrato Trump il mese scorso per discutere un possibile incarico al Dipartimento che si occupa dei Veterani, ha raccontato che il presidente eletto gli ha chiesto come lo avrebbe aiutato a tener fede alle promesse fatte durante la campagna elettorale.
«Mi ha fatto capire chiaramente che è un uomo di affari, e che intende delegare gli incarichi: forse a me, forse ad altri», ha spiegato. «Ti dice:”Fai il tuo lavoro e fallo bene. Altrimenti... Sei licenziato!”».