la Repubblica, 11 dicembre 2016
Tempi brevi e decisioni in solitudine la super sobrietà dello «stile Sergio»
«Io preferisco andare dal dentista piuttosto che farmi tirare fuori le parole dalla bocca». Sono passati diversi anni da quella riunione del Ppi in cui Sergio Mattarella gelò con una battuta un parlamentare popolare che lo incalzava. In quella occasione tutti si misero a ridere. Era una delle poche battute che il futuro capo dello stato si era concesso in pubblico. Eppure è cambiato ben poco nello “stile-Sergio”. Basta prendere queste consultazioni. La sua prima crisi di governo. Poche parole, pochi giudizi, silenzi lunghissimi. «Siamo entrati in quella sala racconta un suo amico di vecchia data e per l’occasione anche componente di una delle delle delegazioni consultate ci siamo seduti, lui ci ha detto: allora come la vedete? Noi abbiamo risposto e alla fine ci ha detto: vi ringrazio».
Una frugalità spoglia. Come l’intervento brevissimo, che ha lasciato molti di stucco, concesso davanti alle telecamere dopo aver esaurito il giro dei colloqui. Una sobrietà praticata anche sul tavolo intorno a cui ha ricevuto i vari partiti: non c’era praticamente niente. L’acqua arrivava solo su richiesta. Tutto studiato per rispettare i tempi, anzi per comprimerli. Un protocollo spartano. Di cui un po tutti si sono sorpresi. Seduto al suo fianco solo il segretario generale del Quirinale, Zampetti. A pochi passi un funzionario prendeva appunti: una sola copia cartacea è presente di quei verbali e sono già stati chiusi nella cassaforte della presidenza della Repubblica. Destinati, un giorno, agli archivi di Stato.
L’unico autorizzato a entrare e a parlare con Mattarella durante le consultazioni era Daniele Cabras, direttore dell’ufficio della segreteria generale.
Chi ha assistito ai precedenti rituali delle consultazioni, commenta sgranando gli occhi: «Tutto è cambiato». Tempi più brevi, il capo dello Stato osservatore e non protagonista. Persino il leggio riservato agli ospiti è nuovo: non più in legno scuro ma in plexiglass. E così, per confermare la novità, anche quando qualcuno gli ha chiesto quale fosse il suo nome preferito per il nuovo governo, ha replicato impietrito: «Non sono più quei tempi». Come a dire che in qualche modo sì, è tornata la prima Repubblica. Ma non per la liturgia stanca e ripetitiva, ma per il rispetto delle regole. E forse non è un caso che Ciriaco De Mita, uno che conosce bene Mattarella, lo abbia definito “l’uomo delle regole”. E per spiegare quanto sia fermo su questa attitudine, chi lo conosce ancora adesso ricorda la frase pronunciata nel 1990 per dimettersi da ministro contro la legge Mammì che favoriva le tv di Berlusconi: «Ritengo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia in linea di principio inammissibile».
Lo stile della casa dunque è questo. Con una tendenza a scegliere in solitudine. Anche se le riunioni di staff (di cui fanno parte anche Giovanni Grasso e Simone Guerrini) hanno una cadenza costante: alle 13,30 e alle 19,30.
Ma chi sono gli uomini con cui il presidente della Repubblica si è confrontato in questi passaggi? Oltre al segretario generale, una sorta di alter ego “politico” è Gianfranco Astori, ex parlamentare democristiano, ex sottosegretario ed ora consigliere per l’Infor-mazione. È lui l’uomo che più conosce le dinamiche della politica e la loro combinazione con certe liturgie. Le procedure, infatti, assomigliano a quelle della Prima Repubblica, ma la sostanza è affatto diversa.
I contatti, però, sono anche fuori dal Palazzo. Di sicuro la voce più ascoltata è quella di suo figlio Bernardo. Ma ci sono quattro referenti che rappresentano dei veri e propri punti di riferimento. Il filo diretto, ad esempio, è con Francesco Garofani, presidente della commissione difesa della camera. Era con lui anche ai tempi della direzione del Popolo, allora quotidiano del Ppi. Da cui si dimisero in blocco quando alla segreteria arrivò Rocco Buttiglione. Garofani è una sorta di longa manus quirinalizia a Montecitorio. Un altro è Gian Claudio Bressa, deputato Pd sempre di matrice popolare. Insieme guidarono nel 1997 per conto del Ppi i lavori della Bicamerale D’Alema per le riforme. Nei momenti difficili, altri due amici-confidenti sono il deputato Giovanni Burtone e il presidente dell’Authority per la privacy, Antonello Soro.
E in alcune circostanze anche Pierluigi Castagnetti, ex segretario popolare. Sebbene qualcuno ricorda che ai tempi della sfida per la segreteria del Ppi tra lo stesso Castagnetti e Dario Franceschini, Mattarella si schierò con il secondo.
L’uomo che sarebbe stato al fianco del capo dello Stato in ogni momento di questa crisi di governo, però, adesso non c’è più: si tratta di Leopoldo Elia. Considerato uno dei suoi maestri, dal punto di vista giuridico.
Ma alla fine Mattarella decide da solo. La solitudine e il silenzio sono due dei tratti di questo settennato. E anche oggi, da solo, dopo aver partecipato alla messa delle 11 celebrata tutte le domeniche per i dipendenti nella cappella del Quirinale, indicherà il nome e l’indirizzo del nuovo presidente del consiglio.