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 2016  dicembre 11 Domenica calendario

Apnee notturne ancora troppo trascurate

Per alcuni la sonnolenza di giorno dipende solo dalla stanchezza. Altri pensano che i frequenti risvegli di notte per andare in bagno siano la conseguenza dell’aver bevuto molto la sera. E c’è chi turba i sonni dei familiari perché russa, ma non se ne fa troppo cruccio.
Moltissimi italiani che soffrono della sindrome da apnee ostruttive nel sonno non immaginano di avere un problema, non arrivano a una diagnosi, non si curano. Peccato che, stando a quanto emerso da una recente tavola rotonda sul tema promossa dall’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (Aipo), le apnee ostruttive siano un’epidemia silenziosa con conseguenze non banali: si stimano non meno di sei milioni di pazienti, di cui circa due con sintomi pesanti, tutti esposti a problemi come ipertensione, aterosclerosi, coronaropatie, ictus, maggior rischio di diabete e, ovviamente, a una qualità di vita scadente per il pessimo riposo. Non più del 10 per cento di chi soffre di apnee notturne arriva alla diagnosi per poi curarsi e Fausto De Michele, già presidente Aipo, spiega: «I sintomi sono sottostimati e sottovalutati: chi russa è considerato una persona con un piccolo “difetto”, non qualcuno che potrebbe avere una patologia. Non tutti i russatori hanno apnee, ma il russamento persistente, intenso e intermittente è un segno che deve farle sospettare, così come la sonnolenza diurna, anche se non c’è sempre (si ha in circa un terzo dei casi medio-gravi, ndr). Sovrappeso e obesità sono cofattori, ma circa il 40% di chi ha apnee non ha chili di troppo, perciò a volte è difficile “stanare” i pazienti».
Gli esperti parlano non a caso di sintomi-tranello, disturbi che di solito non vengono associati alle apnee ma che sono campanelli d’allarme: alzarsi per andare spesso in bagno può dipendere da risvegli conseguenti all’interruzione frequente del respiro; il mal di testa al mattino che passa da solo dopo un paio d’ore è un segno tipico; la riduzione della libido e la disfunzione erettile sono spesso associati al problema. Il segno dirimente resta l’apnea: durante il “concerto” di russamento il paziente smette di respirare per qualche secondo (a volte fino a un minuto) e in questi attimi l’ossigeno in circolo scende, la pressione sale moltissimo, così come la frequenza cardiaca, si determinano danni all’endotelio (il rivestimento interno dei vasi sanguigni).
Il numero di episodi di apnea indica la maggiore o minor gravità della sindrome e si conta con un esame che valuta la qualità del sonno, la polisonnografia, un monitoraggio del riposo notturno che può essere eseguito in un laboratorio di medicina del sonno o a casa, con uno strumento portatile. «Al mattino il medico legge il tracciato e può fare la diagnosi – interviene Giuseppe Insalaco, ricercatore dell’Istituto di Biomedicina del Cnr di Palermo —. Il percorso, che spesso inizia su segnalazione dei partner perché il paziente non si accorge dell’apnea, parte dal medico di famiglia che dovrebbe individuare chi è a rischio e inviarlo a un centro di medicina del sonno o a una delle circa 200 unità di pneumologia in cui si trattano le apnee. Purtroppo c’è poca conoscenza della patologia anche fra i medici: così l’apnea ostruttiva resta misconosciuta e progredisce. Il guaio è che ha conseguenze non da poco sulla salute: un’ipertensione che resiste ai farmaci, per esempio, è spesso legata a un respiro ostruito di notte. Che si associa, oltre a un maggior rischio di patologie cardiovascolari e metaboliche, anche a un incremento della steatosi epatica, di disfunzioni renali e oculari, di osteoporosi».
Da qui i costi associati alle apnee ostruttive; si stima siano circa 2,9 miliardi di euro, dovuti per la metà alla gestione delle patologie provocate o peggiorate dal respiro interrotto e per meno del 10% a diagnosi e cure; il 45% delle spese, poi, dipende dagli incidenti e dalla perdita di produttività associata alla sonnolenza.
«Le apnee ostruttive compromettono la qualità di vita ma pochi le riconoscono e le curano: quando si fa diagnosi spesso ci accorgiamo che i pazienti hanno convissuto per 10-15 anni con il respiro interrotto, senza mai sospettare che fosse un problema serio», conclude De Michele.