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 2016  dicembre 11 Domenica calendario

Petrolio, accordo per far risalire i prezzi. Sì anche da Russia e Paesi non-Opec

Di accordo storico in accordo storico: per la prima volta dal 2001 i produttori Opec e non-Opec siglano un’intesa comune per tagliare l’offerta mondiale di petrolio. Un evento che segue di pochi giorni il compromesso raggiunto il 30 novembre tra i Paesi che compongono il cartello: anche loro non si accordavano su una riduzione congiunta della produzione di greggio dal 2008.
La settimana scorsa il barile è risalito a quota 51 dollari e ora qualche analista si attende che in tempi brevi il petrolio torni a rivedere i 60 dollari. A metà 2014, quando l’Arabia Saudita decise di aprire i rubinetti per mettere fuori mercato i produttori non-Opec – e soprattutto quelli statunitensi di shale e tight oil – era a 115 dollari. Poi è sceso vertiginosamente ed è arrivato anche a toccare quota 30 dollari, un livello troppo basso, e pericoloso, per i bilanci pubblici e la stabilità politica dei Paesi produttori, che da tempo cercavano un modo per far risalire le quotazioni. Il verosimile rialzo dei prossimi giorni non costituirà una notizia positiva per gli automobilisti, ma non sarà neppure del tutto negativa per l’economia europea, visti gli effetti che potrà avere sull’inflazione in chiave anti-depressiva.
Ciò che è accaduto ieri a Vienna, sede dell’Opec e delle trattative tra i produttori, è che undici di essi (con la Russia anche Messico, Oman, Azerbaijan e Kazakhstan) hanno concordato con i tredici che fanno parte del cartello di tagliare dal prossimo gennaio 558 mila barili al giorno, che si uniranno così all’impegno Opec di ridurre l’offerta di 1,2 milioni di barili. Il principale impegno, come era nelle previsioni, è stato preso dalla Russia, secondo produttore mondiale, che eliminerà 300 mila barili.
L’Opec vale circa un terzo dell’offerta mondiale, i Paesi che si sono radunati a Vienna un altro quinto: verosimile quindi che se tutti dovessero fare la loro parte i risultati sui prezzi non tarderanno ad emergere. Un “Opec-plus” (definizione del super esperto Usa, Daniel Yergin) potrebbe così riuscire nell’intento di riprendere in mano il mercato dell’energia.
Ma i dubbi maggiori vengono proprio dalla capacità di tutti gli attori sulla scena di tenere fede agli accordi. La litigiosità interna all’Opec è un dato di fatto storico. Riad e Baghdad da una parte, e Teheran dall’altra, sono su fronti opposti. Il regno saudita e Mosca hanno concordato una tregua, ma i loro interessi nell’area mediorientale restano diversi. E anche rimanendo sul campo strettamente produttivo, nel passato (proprio nel 2001) i russi hanno già tradito i loro impegni con l’Opec, mentre sulla credibilità delle quote dichiarate da ogni Paese produttore nessuno metterebbe le mani sul fuoco. Peraltro, dall’inizio della «guerra di mercato» scatenata dall’Arabia Saudita, ognuno ha spinto a tavoletta sul proprio output: la Russia, ad esempio, è ai suoi massimi storici.
Rimane infine, l’ombra maggiore, quella del petrolio Usa. Sopra i 50 dollari al barile molti produttori shale potrebbero tornare sul mercato. E il pendolo ritornare pericolosamente vicino al punto di partenza.