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 2016  dicembre 11 Domenica calendario

«Così l’arte del tè e lo zen possono cambiare la vita». Intervista a Bruce Ginsberg

Bruce Ginsberg è figlio di un contadino sudafricano e pratica la disciplina zen da 50 anni. È stato presidente del «Buddhist Society Trust» e ha fatto parte del Comitato per l’Associazione Religiosa dell’Onu, accanto a imam, rabbini, sacerdoti indù e vescovi cristiani. Oggi dirige la «Dragonfly Tea», società britannica che produce tè artigianali.
Lei è il nipote di un produttore di tè?
«Nel XIX secolo mio nonno visse a Mosca, con uno zio che lavorava nel commercio del tè. Nel 1903 si trasferì in Sud Africa e divenne noto come l’uomo che diede il via al commercio del tè rosso sudafricano».
Che ruolo ha giocato il Sud Africa nel commercio del tè dalla Cina fino all’Europa?
«Capetown era il luogo di sosta per le navi che arrivavano da Oriente e trasportavano tè. I portoghesi furono i primi a introdurre la bevanda in Europa, nel XVII secolo. Ci sono riscontri della sua presenza in Olanda già nel 1640 e nel 1662 Samuel Pepys menzionò il tè nei suoi diari».
Come diventò suo nonno protagonista del tè rosso in Sud Africa?
«Il Rooibos, da cui si prepara il tè rosso, è una pianta selvatica. A favorire la diffusione del tè furono gli agricoltori francesi e olandesi di Capetown. Per incentivarne il commercio a distanza lo mescolarono ad altre erbe locali. All’epoca il Rooibos non era così noto. Ma nel 1907, dopo la guerra anglo-boera, il governo britannico organizzò una mostra per esporre i principali prodotti del Sud Africa. Fu da questo momento che crebbe l’interesse nei confronti del tè e mio nonno fu il primo a confezionare il Rooibos senza alterarne la qualità».
Qual è il suo potere curativo?
«Il Rooibos è privo di caffeina, ha un alto contenuto di antiossidanti e ha proprietà anti-spastiche che lo rendono consigliabile per i neonati e i bambini».
Fu lei a introdurre il tè sudafricano in Gran Bretagna?
«Mi trasferii a Londra nel 1976 e cercai subito di introdurlo nelle abitudini della popolazione locale. Quella che in Sud Africa era una bevanda dei poveri, qui è divenuta nel tempo speciale».
Com’è iniziato il suo avvicinamento alla filosofia zen?
«Era il 1967, lavoravo come giornalista e andai a Tokyo per un colloquio di lavoro. Ma il mio vero interesse era osservare più da vicino questa pratica. Il buddhismo zen, nato in Cina e poi diffuso in India e in Giappone, rappresentava un’avanguardia culturale, anche grazie alla Beat Generation e a “I vagabondi del Dharma”, il romanzo di Jack Kerouac».
Studiò lo zen in Giappone?
«Da laico, vivevo in un famoso monastero zen, nel tempio di Daitokuji. Qui il rituale del tè nacque 500 anni fa e ogni anno 10 mila insegnanti si recano lì per rendere omaggio ai suoi fondatori. È grazie a questa esperienza che ho scelto di approfondire gli studi sulla bevanda».
Cosa scoprì della sua cultura?
«Il tè deve essere bevuto lentamente, vicino alla natura. Oltre alla caffeina, al suo interno c’è la teanina, un aminoacido che riduce lo stress mentale e fisico e induce il rilassamento. In questo modo entrano in gioco due risposte: una induce il rilassamento, l’altra la vigilanza».
Cosa l’ha spinta a questo interesse?
«L’esperienza di infinito che si prova ogni qual volta si sorseggia una tazza di tè. Ogni momento della vita può equivalere a un’esperienza indimenticabile, se si sa come affrontarla e se si pone la massima attenzione su ciò che si sta facendo».
Zen e tè equivalgono a una religione?
«A un sentimento religioso, direi. Chi lo segue ha bisogno di esplorare l’estetica del bere e di vivere la degustazione con l’emozione che si riconosce a una forma d’arte. Quando si abbandona una sala da tè, ci si sente totalmente liberi. L’unica sensazione che si avverte è quella del flusso creativo che attraversa il nostro corpo».
Il tè cinese è ancora così popolare in Gran Bretagna?
«Oggi gli inglesi sono meno attenti all’origine del tè e dal 1880 la maggior parte di quello che consumano proviene dall’India, non dalla Cina. Le teiere sono sparite da molte case, ma la gente continua a bere il tè per l’effetto benefico che garantisce al fisico e allo spirito. Nel tempo è andata scemando pure la sua qualità. La Regina Vittoria beveva solo l’Eastern Beauty, una bevanda fermentata che virava dal marrone al verde. Oggi la Cina produce il tè nero per il mercato inglese, che è più amaro».
Come nasce la produzione di tè in India?
«È il frutto di un guizzo degli inglesi, che 160 anni fa contrabbandarono piante di tè dalla Cina verso l’India e lo Sri Lanka. Ma il tè ha origini ben più antiche, risalenti a 1500 anni fa».
Ma oggi è il caffè a farla da padrone.
«Il caffè è un’icona, che ha costruito la sua immagine conquistando chi ha nel tempo dimenticato il tè. Ma tra le due bevande non c’è confronto. Il tè è tranquillità, quiete, riposo. Il caffè un ronzio di fondo».
Cosa la colpisce dei giardini, che rappresentano un altro dei suoi interessi?
«Il colore tocca il cuore e i fiori hanno un forte effetto emotivo su di noi. I giardini sono artificiali, ma ciò non toglie nulla all’origine del rapporto che lega l’uomo alla natura».