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 2016  dicembre 11 Domenica calendario

11 settembre 2001, New York. Una grande squadra al lavoro

Dream Team: tutte le volte che mi viene in mente la squadra de La Stampa per l’11 settembre 2001 a New York e Washington, penso sempre «squadra da sogno». Di futuri direttori, Molinari e Calabresi, scrittori e inviati, Ceccarelli, Candito, Nirenstein, Man, Singer, Soria, Sisci, Passarini, Bianucci, Biancheri, Mastrolilli, e «promesse», Cazzullo, Galeazzi, Zafesova. Con Glauco Maggi che, vivendo a pochi passi dalle Torri Gemelle, fu, con la moglie Maria Teresa Cometto del Corriere, testimone della strage, e per molti mesi sfollato da una casa inagibile.
Quando il primo aereo colpì la Torre Nord, alle 8,46 ora di New York, pensai a un incidente, come il 28 luglio 1945, quando un bombardiere B25 si schiantò contro l’Empire State Building, con 14 vittime. Ricordai al caporedattore Luca Ubaldeschi l’episodio, ma Luca non fece in tempo ad avvisare l’archivio – Google era un miraggio – che il secondo jet esplose contro la Torre Sud, 9,03.
Il direttore, Marcello Sorgi, che conoscevo fin dai banchi di scuola per la sua calma perenne, prese a chiamare inviati e commentatori e a stendere un editoriale. Dovevamo mandare un gruppo di colleghi a New York, con i voli sospesi per l’America, la nostra leggendaria agente di viaggio Rina Anoussis compì il miracolo, fece volare il team de La Stampa in Canada e da lì, con un camioncino precariamente affittato e i sospetti delle guardie doganiere alle Cascate del Niagara, furono i primi ad arrivare a Manhattan.
Dei «ragazzi» del team, perdonatemi se li chiamo come allora, ricordo Molinari stendere note politiche mentre viaggiavamo giorno e notte, Ceccarelli commuoversi alla Messa per i caduti nella cattedrale di Saint Patrick, Calabresi infilarsi al laboratorio PHRI downtown Manhattan per capire da dove provenisse l’antrace, la polvere velenosa che veniva inviata in buste postali. Mangiavamo insieme, vivevamo insieme, parlavamo ai primi, precari, telefonini insieme.
Da Washington un vecchio amico del Pentagono ci spiegava i misteri della «Guerra asimmetrica», la sfida tra terroristi invisibili capace di stravolgere il mondo della Guerra Fredda e la strategia dell’impero. Intanto in Italia, come sempre, si ballava il tango delle ideologie, «Occidentalisti» contro «Terzomondisti» in una diatriba senza fine.
La Stampa preferì la cronaca, quotidiana, infaticabile, cocciuta, umile e paziente, i «fatti» contro la rabbiosa demagogia, e quando lo storico Franco Contorbia, curatore dei migliori reportage del Novecento nella collana Mondadori i Millenni «Giornalismo Italiano», scelse proprio i servizi di questo giornale per la sua copertina, io, che ebbi l’onore di coordinare il Dream Team, fui felice. Felice anche per il nostro uomo senza firma in prima pagina, l’Avvocato Gianni Agnelli. Ogni momento al telefono con Marcello, con me, con le grandi e piccole firme, ci raccontava dei colloqui avuti con Henry Kissinger, di quel che Ted Kennedy gli aveva detto, ci spronava, allenava, incoraggiava. Fummo i primi a dare la notizia, dapprima incerta, che i passeggeri a bordo del jet poi caduto in Pennsylvania s’erano ribellati ai dirottatori al grido di «Let’s roll!». L’Avvocato mi chiese «Perché solo in chiusura del pezzo quella notizia?», «Arrivata tarda e dovevamo controllare» risposi da un telefono lontano. «Dovevamo darla meglio, ma bene comunque averla data noi per primi» ribatté sereno l’Avvocato.