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 2016  dicembre 11 Domenica calendario

A quanto pare il prossimo presidente del Consiglio sarà Paolo Gentiloni, romano, 62 anni, discendente dal famoso Gentiloni del patto del 1913, attuale ministro degli Esteri, uomo a suo tempo di Francesco Rutelli e oggi fedelissimo del premier Matteo Renzi

A quanto pare il prossimo presidente del Consiglio sarà Paolo Gentiloni, romano, 62 anni, discendente dal famoso Gentiloni del patto del 1913, attuale ministro degli Esteri, uomo a suo tempo di Francesco Rutelli e oggi fedelissimo del premier Matteo Renzi. La delegazione del Pd, salita per ultima ieri al Quirinale, ha consegnato al presidente della Repubblica non una rosa al cui interno scegliere, ma un nome solo. Mattarella, all’inizio della crisi, aveva detto che avrebbe passato la domenica a pensare e lunedì avrebbe dato l’incarico. Ma a questo punto non c’è molto da pensare ed è possibile che Gentiloni venga investito del compito di formare un governo già oggi. La crisi del Monte dei Paschi di Siena (su cui vedi la nostra conversazione di ieri) ha imposto un’accelerazione dei tempi. Il nuovo governo dovrà emanare, quasi come suo primo provvedimento, il decreto con cui lo Stato, in una forma ancora non conosciuta, stanzierà la somma necessaria a salvare la banca, qualcosa, si suppone, come 5 o addirittura 7 miliardi. Va fatto tutto entro il 31 dicembre, dato che Bruxelles non ha concesso nessuna proroga.

Come si è arrivati al nome di Gentiloni?
In questa crisi è accaduta una cosa che non s’era mai vista prima. Renzi è tornato da Firenze e ha passato le giornate di venerdì e di ieri a condurre un suo giro di consultazioni concorrenziale a quello di Mattarella. Ha incontrato, nel suo ufficio di Palazzo Chigi, Padoan, Franceschini, la Boschi, Carlo Calenda e Maurizio Martina. Poi ha ricevuto la delegazione del Pd, quella che ieri sera è salita al Quirinale: Luigi Zanda, Ettore Rosato, Lorenzo Guerini, Matteo Orfini. Alla fine di tutti questi colloqui è rimasto in gara solo Gentiloni. Potremmo dire che le consultazioni di Renzi hanno in qualche modo bruciato quelle di Mattarella, che ha dovuto, per la prassi, ricevere tutti e 26 i gruppi, parlando anche -  per tutto venerdì - con gruppetti di forza insignificante. Renzi è stato parecchio criticato per questa procedura, il cui significato è trasparente: sono sempre io a dare le carte, ha detto implicitamente il premier dimissionario, incurante della sconfitta del 4 dicembre. E in effetti, fino a questo momento, appare ancora il più forte.  

S’era detto che un accordo tra Franceschini e Andrea Orlando avrebbe potuto portare il primo alla presidenza del Consiglio e il secondo alla segreteria del Pd.
Franceschini s’è sgolato in questi giorni a spiegare che lui non stava preparando nessun complotto, non c’era nessuna intesa con Berlusconi, «io stesso ho detto a Renzi di non dimettersi dopo la sconfitta». A Renzi, veri o falsi che fossero gli scenari disegnati dai giornali, conveniva comunque un accordo con il suo ministro dei Beni culturali, dato che alla corrente di Franceschini - AreaDem - appartiene un buon terzo dei deputati e dei senatori. Il colloquio tra i due è durato un’ora e dovrebbe aver ricomposto la frattura e rinsaldato l’alleanza. Il governo di Gentiloni non comprenderà né la Boschi né la Giannini né la Madia e quelle tre poltrone (Riforme, Istruzione, Pubblica Amministrazione) andranno a tre franceschiniani. Fa gola soprattutto la Pubblica Istruzione, formidabile macchina di costruzione del consenso. Non mi meraviglierei se ci si trasferisse lo stesso Franceschini.  

Quanto durerà questo governo Gentiloni?
Finiti i colloqui, Mattarella ha detto, tra l’altro: «È emersa in questi incontri, come prioritaria, un’esigenza generale di armonizzazione delle due leggi per l’elezione della Camera e del Senato, condizione questa indispensabile per procedere allo svolgimento di elezioni». Dunque, il governo, fatte salve le urgenze (come il provvedimento per i terremotati, saltato per la fretta con cui s’è dovuta approvare la legge di Stabilità), ha soprattutto il compito di portarci alle urne con un sistema elettorale nuovo, in cui l’elezione dei senatori non sia così diversa dall’elezione dei deputati. Insomma, che possibilmente domini nelle due aule la stessa maggioranza.  

Non esiste nessuna possibilità che si formi una grande coalizione?
Direi nessuna, se si sta alle dichiarazioni di Berlusconi all’uscita e a quelle di Lega e Cinquestelle. Berlusconi, l’unico che in teoria potrebbe essere coinvolto, ha detto: «Forza Italia non dà la disponibilità a sostenere un governo di larga coalizione. Tocca al Pd esprimere e sostenere un governo per la parte restante della legislatura, che deve essere la più breve possibile. L’iter per la legge elettorale sia rapido per andare subito al voto. E dopo le elezioni riprenda il percorso di una costituente in termini finalmente condivisi. Abbiamo la massima considerazione per il ruolo del presidente Mattarella e la fiducia nel suo ruolo di garante in questa fase delicata del Paese». Lega e M5s hanno ribadito di voler andare a votare al più presto. Stigmatizzano entrambi (con Sel) la scelta di Gentiloni, considerato un avatar di Renzi (l’espressione è di Luigi Di Maio).  

Il Pd da solo non ha la maggioranza al Senato.
Verdini ed Alfano si sono detti pronti a sostenere il nuovo gabinetto. Verdini, «senza chiedere niente in cambio», ha promesso che sosterrà «qualunque governo».