Libero, 9 dicembre 2016
«Mamma, vado in camera». E si impicca a dodici anni
Non ha neanche finito la cena con la sua famiglia. Si è assentato da tavola con una scusa qualsiasi: «Vado di sopra un momento», ha detto ai suoi genitori. Poi è entrato nella sua cameretta, ha preso la tenda, ne ha fatto un cappio, e si è impiccato. Mario (il nome è di fantasia, la tragedia purtroppo è reale) è un ragazzino di appena dodici anni: adesso lotta tra la vita e la morte all’ospedale di Conegliano, in Veneto. Al suo fianco ci sono, instancabili, mamma e papà. I medici non hanno ancora dichiarato la morte celebrare, ma di speranze per lui ce ne sono poche. Si parla già di espianto degli organi.
Mario è arrivato al reparto di rianimazione di
quel policlinico del Nord-Est mercoledì sera, in condizioni dispe-
rate. A trovarlo letteral-
mente penzoloni è sta-
ta la madre, insospetti-
ta dal fatto che il picco-
lo si fosse assentato
dal salotto per troppo tempo. Non era torna-
to nemmeno per guar-
dare la tv, come faceva sempre. E quando la
donna ha aperto la por-
ta della sua stanza lo
ha visto così, appeso al-
la tenda, agonizzante.
Il cuore del bambino è rimasto fermo fino all’arrivo dell’ambulanza, i soccorsi sono stati attivati subito. Sul posto, richiamata dalle urla della madre, si è fiondata anche una parente che vive vicino alla famiglia e che fa l’infermiera al Pronto soccorso: ha provato a rianimarlo, ha praticato su quel corpicino esanime le prime manovre di rianimazione e un massaggio cardiaco. Ma forse per lui non c’era già nulla da fare.
Assieme ai camici bianchi sono arrivati i carabinieri. Le sirene hanno svegliato mezzo quartiere. I dottori hanno scongiurato il peggio, almeno momentaneamente, hanno intubato Mario: eppure, fin dalla corsa in ospedale, si è capito che le possibilità di salvare quella giovane vita erano ridotte al lumicino. L’elettroencefalogramma, ripetuto più volte, non era positivo. Come spiega il quotidiano locale Il Gazzettino, i genitori avrebbero già manifestato l’intenzione di dare il nulla osta all’espianto degli organi, qualora la situazione dovesse precipitare irrimediabilmente.
Cosa abbia spinto Mario a quel gesto estremo non è chiaro. Forse un rimprovero di troppo o una punizione o qualche brutto voto a scuola. Nulla per cui valga la pena suicidarsi, ad ogni modo: specie ad appena dodici anni. Un ragazzino “vivace”, lo descrivono così gli abitanti di Vittorio Veneto, il paesino in provincia di Treviso (poco più che 28mila anime) dove abita la famiglia del bambino: da quelle parti adesso sono tutti sotto choc. Comprensibilmente.
«Una certa percentuale di suicidi tra i bambini e gli adolescenti c’è purtroppo sempre stata», commenta Mauro Grimoldi, psicologo giuridico che ha collaborato anche con il tribunale minorile di Brescia. «A queste età, i disturbi che colpiscono i piccoli che vanno ancora alle elementari e i ragazzini non ancora adolescenti fanno spesso capo a fenomeni di natura psichiatrica, ma possono esserci altre cause». L’inadeguatezza di fronte alle sfide quotidiane, ad esempio, o il non sentirsi all’altezza delle situazioni di tutti i giorni, in una società che punta molto sulla competizione. «Nei più piccoli uccide più il senso di vergogna che di colpa», continua Grimoldi, «alcuni hanno la sensazione di non potersi guardare allo specchio e soprattutto nello specchio della società, degli altri».
Non sappiamo che cosa sia passato nella mente del piccolo Mario in quelle drammatiche ore di qualche sera fa, quali siano state le sue paure e i suoi timori. Sappiamo solo che uno studio condotto dall’Istat una decina di anni fa ha individuato il “suicidio giovanile” come la terza causa di morte tra i ragazzi italiani maschi, dopo gli incidenti stradali e i tumori (per le femmine è la quarta, prima vengono le malattie cardiovascolari). «Gli episodi di suicidio crescono nell’adolescenza e successivamente diventano costanti. Non c’è, insomma, nel corso della vita umana, un momento in cui cessano eventi simili», conclude l’esperto.