la Repubblica, 8 dicembre 2016
L’amaca di Michele Serra
UN Pd definitivamente dem e non più post-qualcosa, con la leadership di Renzi confermata sul campo, per altro, dalla compattezza dell’elettorato Pd attorno al Sì: più dell’ottanta per cento. E un “campo progressista” che raccolga la vasta sinistra non renziana per proporre al Pd una maggioranza di governo senza Verdini-Alfano, ovvero senza equivoci. È questa, in estrema sintesi, la proposta di Giuliano Pisapia. Ha un grave difetto: è sensata, non è settaria. E dunque difetta dei requisiti cari alla sinistra-sinistra più tipica, che sono il settarismo e l’insensatezza. Difatti dai vari partitelli e clubbini che annaspano alla sinistra del Pd, spartendosi non si capisce bene quale eredità ideologica, arrivano soprattutto alzate di spalle. E qualche insolenza. Il rischio – se Pisapia ottenesse, come si dice, un largo mandato da parte degli interessati – è di rimettere in piedi un centro/sinistra di governo e magari addirittura di vincere, come a Pisapia è già capitato proprio sommando gli elettori del Pd, compresi parecchi centristi, al variegato mondo di quelli più “di sinistra”; e come non capiterà mai ai piccoli redditieri della fu-sinistra. La domanda è: ma a Pisapia, chi glielo ha fatto fare? Già gli è riuscito il miracolo a Milano, ora pretende anche il miracolo a Roma? E poi, non ha capito che l’odio per Renzi (ovvero il vecchio odio per il “nemico interno”) è molto ma molto più potente, come motore politico, della sua (di Pisapia) affettuosa idea che si debba e si possa fare politica per costruire qualcosa?