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 2016  dicembre 09 Venerdì calendario

La sempreverde Yucca resiste al gelo e anche ai deserti

Pur essendo piantatissima, un vero ed insolito leit-motiv persino lungo la strada che da Torino porta alle mie valli, della yucca sono ben in pochi ad innamorarsi. Almeno al giorno d’oggi e nei nostri giardini, dove l’aspetto così marcatamente esotico e la rigidità delle foglie non ne facilitano certo l’integrazione. Eppure bisogna ammettere che è una pianta piena di risorse: sempreverde, resistente al freddo, instancabile anche di fronte ai più biechi e trucidi maltrattamenti. E, perché no, anche bella, se piantata con una certa spontaneità e ripetizione, soprattutto nei giardini di mare: una bellezza forse non consueta, un po’ ruvida e primitiva, ma pur sempre attraente.
Tutt’altro discorso vale nelle sue terre d’origine, nelle lande aride e semiaride del Messico e degli Stati Uniti sudoccidentali. Lì crescono una quarantina di specie diverse, da quelle arbustive all’imponente Y. brevifolia, che popola il deserto del Mojave in California, alta fino a 15 metri, tutto tronco e poche, altissime foglie, chiamata dai coloni mormoni «Joshua Tree». In chaparral e matorral le distese di yucche fiorite, con i loro panicoli color crema simili a candelabri, sono un vero spettacolo: panicoli che hanno la particolarità di formarsi e sbocciare tutti insieme, anche al di fuori della stagione deputata, che è la fine dell’estate, e specialmente dopo il passaggio del fuoco.
Le yucche vengono impollinate solo da una particolare falena (ogni specie ha la sua!), una simbiosi affascinante che funziona più o meno così: la yucca fiorisce, la falena si fionda sull’antera di un fiore, ne prende il polline (un polline particolarmente duro, che solo lei riesce a portar via grazie ad uno speciale tentacolo), vola su un altro fiore, deposita le uova e insieme anche il polline. Questo perché le sue larve si cibano esclusivamente dei semi di yucca e, dunque, possono crescere solo nei fiori fecondati. Il meccanismo è perfetto e sottoposto ad un controllo incrociato: le falene monitorano che i semi siano sempre di più di quelli mangiati, per garantire la riproduzione della pianta e quindi di loro stesse, e la yucca abortisce il frutto in caso di larve eccessive e troppo affamate.
Nelle terre d’origine la yucca, il cui nome deriva dal termine indio «yuca», era usata non solo per scopi culinari e medicinali, mentre con le sue radici si produceva un sapone e con le coriacee fibre del midollo corde, stuoie e ceste, tradizione ancora oggi viva per molti campesinos. Il successo giardiniero lo raggiunse però in Europa, amatissima dalla grande Gertrude Jekyll, e soprattutto sulle coste italiane, che divennero un campo di sperimentazione per il genere: dalle yucche che Thomas Hambury coltivava alla Mortola, dove si era fatto arrivare dalle Americhe una piccola colonia delle famose falene, ai celebri ibridi di Carl Sprenger in quel di Napoli, purtroppo in parte distrutti dall’eruzione del 1906. Le specie più diffuse da noi, capaci di resistere senza problemi ai freddi del Nord, sono la Y. filamentosa e la Y. gloriosa, entrambe con foglie a forma di spada, armate all’estremità e ben erette, di un bel verde glauco e disposte a rosetta, da buone agavacee.
Lo stelo floreale della prima, che ha fiori campanulati bianchi o verde chiarissimo, è un po’ meno alto di quello della seconda, con fiori leggermente soffusi di porpora. Degne di nota sono una particolare cultivar di Y. filamentosa, la Y. f. «Hofer’s Blue», con foglie che sembrano d’argento, e la Y. Flaccida, anch’essa rustica e dal fogliame più morbido e ricadente. Sono tutte yucche che resistono a condizioni anche estreme di siccità, così come alla salsedine, e si adattano a tutti i terreni purché ben drenati e soleggiati.
Di tanto in tanto è bene pulire le foglie secche alla base del cespo, foglie tenacemente attaccate al tronco. Per il resto la yucca è una pianta a prova di dilettante: da noi, essendo assente la falena, non può andare a seme, ma basta un pezzetto di tronco (qualsiasi!) ed il gioco è fatto.