la Repubblica, 8 dicembre 2016
Regeni, l’ultima beffa: nessuna svolta nei documenti arrivati dal Cairo
ROMA La verità sull’omicidio di Giulio Regeni può attendere. Almeno per il regime di Al Sisi. La delegazione che per 36 ore torna a Roma per un’ammissione di indubbio valore politico (quel ragazzo era un «portatore di pace», viene detto alla famiglia la sera di martedì) non ha nessun asso da calare, nessuna sorprendente novità investigativa da consegnare alla Procura di Roma. Più modestamente, il procuratore generale egiziano Ahmed Nabil Sadek arricchisce, articolandolo, il canovaccio proposto ai nostri investigatori già nel settembre scorso. Una storia che, all’osso, racconta come nella fine di Regeni abbia pesato la delazione interessata e miserabile di Mohammed Abdallah, ex capo del sindacato degli ambulanti, biforcuto “amico” di Giulio fino al giorno in cui non ha deciso di venderlo come agente provocatore alla polizia e al servizio segreto civile egiziano. E come il ricercatore fosse nel cono di attenzione degli apparati del Regime, polizia e Servizi, ancora il 22 gennaio, tre giorni prima di essere sequestrato.
È qualcosa, si dirà. Non esattamente una assoluta novità ( Repubblica già nel marzo scorso documentò il coinvolgimento della National security). E tuttavia – è questa l’unica vera sorpresa di fronte alla quale si sono trovati ieri il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, e il sostituto Sergio Colaiocco – si scopre ora che ciò che gli egiziani vengono a raccontare a Roma in una mattina di dicembre è, né più e né meno, quanto sapevano almeno dal 10 maggio scorso. Quando il nostro Mohammed Abdallah decide di mettere a verbale con il procuratore generale del Cairo la storia che leggerete. Insomma, oggi si può dire che per sette mesi il Regime ha taciuto ciò che ha raccontato solo ieri. Per giunta, lo ha taciuto in settembre, nell’ultima trasferta romana dei magistrati egiziani, quando, per l’appunto, per la prima volta vennero affacciati il nome di Abdallah e il suo ruolo nella morte di Giulio.
Da Abdallah, dunque, si riparte. L’ex capo del sindacato degli ambulanti – come documentano le carte consegnate ieri dagli egiziani – viene sentito dal procuratore generale Sadek tre volte, nel febbraio, nel marzo e nel maggio – il 10 – di quest’anno. Le prime due testimonianze sono acqua fresca. Un rosario di omissioni. Poi le ammissioni in un verbale di trenta pagine che, appunto, porta la data del 10 maggio. È a questo punto, di fronte ai tabulati telefonici della sua utenza cellulare, che Abdallah dice quello che non può più negare: l’assidua frequentazione con Giulio, l’interesse alla borsa di studio che innescherà la sua vendetta. Ma, soprattutto, la decisione, alla fine del novembre del 2015, di entrare in una caserma della “polizia stradale” (l’equivalente della nostra municipale) per denunciare il ragazzo italiano. Abdallah deve essere molto abile a vendere la sua merce avariata. Perché – come lui stesso spiega a verbale – la storiella che vorrebbe Giulio alternativamente agente provocatore o spia britannica, eccita i suoi interlocutori al punto che della faccenda viene investita prima la polizia investigativa. E quindi il Servizio segreto civile, la National security agency, a cui Abdallah consegna persino un video (non è chiaro se sollecitato o di sua iniziativa) in cui viene ripreso in compagnia di Giulio.
Complessivamente, tra la fine del novembre del 2015 e il 25 gennaio 2016 (quando Giulio viene sequestrato) sono almeno sette gli interlocutori di Abdallah negli apparati. Due poliziotti e cinque ufficiali del Servizio. Sette nomi consegnati ieri alla Procura di Roma che in sé nulla dicono, almeno per il momento. Non fosse altro perché le loro deposizioni, raccolte dalla stessa Procura generale del Cairo, non sono state consegnate ai magistrati romani (sarà necessaria una nuova rogatoria). Che cosa si sono detti, dunque, Abdallah e i suoi sette spioni? Che ruolo ha avuto la polizia (agli atti dell’inchiesta egiziana c’è il verbale del primo agente che ha condotto l’indagine preventiva su Regeni)? Quale i Servizi? I magistrati egiziani hanno evasivamente riferito a Pignatone e Colaiocco che la loro versione smentirebbe quella del sindacalista. Che, in altri termini, avrebbero sì ammesso i contatti ma avrebbero aggiunto che non si sarebbero spinti oltre il14 gennaio quando la pratica “Regeni” sarebbe stata chiusa. Una circostanza smentita dai tabulati del cellulare di Abdallah che registrano una telefonata verso il centralino della National security agency il 22 gennaio. Un’incongruenza non da poco. Non la sola in una storia ancora piena di buchi e monca di un passaggio cruciale: che lavoro è stato fatto dai Servizi egiziani su Giulio Regeni?