Corriere della Sera, 8 dicembre 2016
Popolare di Vicenza e il rosso da 8,75 miliardi. Si rivede l’ex Zonin
MILANO A Vicenza ricordano bene l’arrivo di Gianni Zonin alla guida della Banca Popolare. Era il 1996. Lui, produttore di vino, sconfisse in assemblea il re della grappa, Giuseppe Nardini, che puntava all’unione con la popolare di Padova, l’Antoniana. Zonin vinse puntando sull’autonomia e la «vicentinità». Un concetto a lui caro, al punto che nei primi 11 anni di mandato cambiò 7 direttori generali: nessuno sembrava andargli bene. All’epoca i manager bancari duravano meno degli allenatori del Vicenza calcio, l’ex squadra di Paolo Rossi. Finché Zonin il 14 ottobre del 2007 si imbatté in Samuele Sorato, il ragazzo di casa e lo nominò direttore generale. I due furono legati da una totale concordanza di vedute per quasi nove anni. Finita male. Perché oggi Zonin, per difendersi dall’azione di responsabilità che gli azionisti della banca voteranno martedì 13 dicembre, ha chiamato in giudizio proprio Sorato, il suo collaboratore Emanuele Giustini e la banca stessa. Appuntamento il 24 maggio 2017 davanti al giudice del Tribunale delle Imprese di Venezia, che dovrà accertare la correttezza dell’attività dell’ex presidente. E i soci, che hanno perso praticamente tutto il loro investimento, confidano in una condanna per essere risarciti.
Zonin – che, giova ricordarlo, a fronte di una gestione verticistica e di una funzione meramente simbolica del consiglio di amministrazione, non ha mai avuto deleghe operative – punta a far ricadere le responsabilità su fattori esterni all’istituto e sulla coppia Sorato-Giustini. Ma l’attuale presidente, Gianni Mion, lunedì sera davanti al consiglio comunale di Vicenza ha presentato una realtà diversa: non fu, ha detto Mion, il concorso di cause esterne a portare al dissesto, bensì – numeri alla mano – la mancanza della «diligenza del buon padre di famiglia». Una mancata diligenza che ha portato l’ex coop bancaria, salvata a maggio dal fondo Atlante, a creare un buco fin qui stimabile in 8,75 miliardi di euro, coinvolgendo nel crac oltre 120 mila risparmiatori: è il più grande crollo bancario nella storia della Repubblica.