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 2016  dicembre 09 Venerdì calendario

Il signore della neve

SAN VIGILIO DI MAREBBE. La notte è serena e la luna illumina il Piz da Peres. Otto gradi sotto. Umidità zero, non ci sono nuvole all’orizzonte. Sulle Dolomiti è il momento perfetto per fabbricare la neve. Max Willeit comincia appena prima di mezzanotte. Sale in motoslitta e fino a quando il sole è alto, vaga da solo lungo le piste e tra le montagne. Controlla i cannoni che sparano i cristalli ghiacciati, uno per uno. Ha 34 anni: in estate fa la guida alpina, ma in inverno è innevatore.
Fino a vent’anni fa, questo mestiere non esisteva. Oggi è il ruolo cruciale che tiene in piedi l’industria più grande e con la redditività più alta dell’arco alpino. Suo padre faceva il contadino a Pieve di Marebbe, in Sudtirolo. Secoli e generazioni di agricoltura d’alta quota. Invece se oggi non ci fossero quelli come Max, che fabbricano fiocchi, paesi e valli alpine sarebbero un deserto.
Nel Novecento, lungo i fronti di guerra tra Francia, Svizzera, Austria, Italia e Jugoslavia, c’erano i soldati. Scavavano trincee e i cannoni sparavano bombe. L’affare erano le ideologie.
La gente scappava o moriva. Oggi si combatte un’altra guerra, però tutti insieme. Il nemico è il clima, che abbiamo contribuito a cambiare. Non conta conquistare territori, ma mercati. Il business è il turismo bianco.
Si scava per creare laghi, posare tubi, interrare stazioni di pompaggio, alzare torri di raffreddamento e posizionare cannoni. Al posto delle bombe, sui prati e tra i boschi vengono sparati fiocchi di neve. È una guerra di pace: chi era abituato alla fame e ad andare via adesso è sazio e resta qui. Ma è pur sempre una guerra, contro il caldo e contro inverni sempre più secchi e in ritardo.
«Temo un solo nemico – dice Max Willeit – : un’era segnata da aridità estiva e rari giorni di gelo invernale. Ci restano quattro gradi di margine. Poi, se avremo acqua, metteremo gli sci dai duemila metri in su».
L’arsenale per mantenere vive le montagne, a costo di sconvolgerle, è imponente. Le Alpi sono solcate da oltre 50mila chilometri di piste. Per aprirle agli sciatori servono 70mila chilometri di tubi che portano 300 milioni di metri cubi d’acqua a più di 100mila cannoni per la neve programmata, prelevandola da oltre 2mila bacini artificiali. Per stendere i fiocchi sparati è spiegato un esercito di 100mila gatti. Da un metro cubo di acqua si ricavano due metri cubi di neve, al prezzo totale di 2,5 euro a metro cubo. Servono 2 milioni di euro al giorno. Un cannone costa 40mila euro, un gatto 400mila. Nessu- na industria italiana vale però quanto questa: il fatturato degli impianti di risalita nel 2016 ha superato 1,5 miliardi di euro, il turismo della neve ha distribuito 25 miliardi. Un metro cubo di acqua, trasformata in neve sciabile, produce 85 euro di valore: 82,5 di profitto netto per l’economia fondata sullo stress di massa. Più del petrolio e di ogni altra materia prima.
Questo prodigio, una macchina che muta una goccia di pioggia in un fiocco di neve e questo in una pepita d’oro che scongiura ogni possibile guerra tra popoli storicamente nemici, ha il suo cuore tra le Dolomiti. Nel 1979 il primo cannone è arrivato dagli Stati Uniti proprio a San Vigilio di Marebbe, ai piedi di Plan de Corones. Erich Kastlunger, uno dei pochi pazzi che nel dopoguerra aveva creduto negli sci, lo pagò 60mila dollari.
Oggi è l’erede di quel cannone il motore della multinazionale delle discese. L’innevatore è il suo profeta, ma è il gatto battipista che prende un cumulo di cristalli e ne ricava una discesa. L’altro mago che con il freddo fabbrica i soldi per tutti, è il gattista. Da Chamonix a Cortina d’Ampezzo, innevatori e gattisti contano e rendono più di un centravanti. Nessuno li vede perché scendono in campo quando le cabinovie chiudono, la gente se ne va, sale la notte e dalle piste scivolano giù i cervi e le volpi. Quelli che hanno il tatto e il naso speciali, il talento per la neve perfetta, sono contesi come campioni. Max Willeit è il Pelè degli innevatori, ma Helmuth Maneschg è il Maradona dei gattisti.
Al passo Furcia crea piste da sci da oltre trent’anni, sul gatto è salito a quindici. «Se devo essere sincero – dice – a me le nevicate naturali stanno sulle scatole. Per mettere a posto quindici centimetri di neve caduta dal cielo occorre una settimana. In poche ore è ridotta a una lastra di ghiaccio. Con la roba che mi mettono lì i cannoni, in tre giorni apro le piste da novembre ad aprile. Mi basta il freddo, al resto penso io».
Fuoriclasse del fiocco si diventa con la tecnologia. La prima goccia per la pista “Erta”, ad esempio, parte da un ruscello e viene pompata in una centrale sotterranea 600 metri più in alto. Sale ancora e da 8 gradi viene portata a 2 nelle torri di raffreddamento. I tubi e la pressione la sparano infine nei micro-bulbi del cannone, che grazie al freddo e all’umidità la trasformano in un cristallo di neve. I computer di una centrale mostrano tutto ciò che succede. Ogni cannone sa dove, quanto e come deve sparare. Ogni gatto, con satellite e Gps, conosce al millimetro lo strato da stendere.
«Il cannone – dice Toni Vollmann, capo della preparazione delle piste a San Vigilio – è la nuova nuvola. Crea un microclima. Il segreto dell’innevatore è sapere quanta aria togliere dalla neve artificiale. Quello del gattista quanta aggiungerne a quella naturale. È questo equilibrio tra gelo e umidità che consente il capolavoro della qualità». Ci vogliono, come sempre con l’arte, passione e fiducia. Non solo per passare le notti e gli inverni della vita sui pendii sottozero. Occorrono per vedere che un prato può diventare una pista e credere che possa succedere anche se il cielo è sereno.
Fare neve sulle Alpi sta diventando come coltivare ananas nel Sahara. Difficile ma indispensabile. Lo sci non è più un sogno, è un’industria. Trenta milioni di persone sulle montagne di sei nazioni vivono di questo, danno lavoro alla gente del Sud e ai migranti dell’Est. Lo sci industriale vive di neve artificiale, la felicità di chi lo vende e di chi lo compra dipende dalla sua stabilità. Le armi sono i cannoni che sparano fiocchi e i gatti che li battono. Gli eroi contemporanei delle quote alte non più i contadini e gli alpinisti, sono gli innevatori e i gattisti.
Per chi ama la natura intatta e quella ben coltivata, o l’armonia delle discese originarie, inutile negarlo, è un problema. Un profondo, decisivo problema collettivo. La bellezza comincia dove la pista finisce. «Mio nonno però – dice Max Willeit – dalla guerra vera a casa non è ritornato». Sono le quattro, l’alba è lontana. Prende un martello e accende la motoslitta. In cima al Piz de Plaies un cannone non spara più, sugli ugelli intasati si accumula ghiaccio. Sulle Alpi le nuvole d’acciaio non si possono più fermare, nemmeno un momento.