Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2016
Da Londra, Parigi, New York: ecco chi specula sulle banche
C’è chi, come Syquant Capital, arriva dalla Francia. Chi, come Marshall Wace, ha sedi a Londra, New York e Hong Kong. Chi, come Oceanwood Capital, a Londra e Malta. Tutti questi fondi, insieme a molti altri in arrivo da molte parti del mondo, hanno un elemento in comune: scommettono a Piazza Affari sul ribasso delle banche italiane. «Vanno corti», come si dice in gergo. O, per dirla con lo slang dei trader, «short». Tanti investitori mondiali, come si vede nel grafico sopra, stanno infatti giocando duro: su Ubi Banca – secondo i dati della Consob rielaborati dal Sole 24 Ore – le principali scommesse ribassiste ammontano a circa il 7% dell’intero capitale, sulla Popolare di Milano a oltre il 5% e sul Banco Popolare al 3,79%. Su Mps solo al 2,2%, ma in questo caso è in vigore dall’estate il divieto di aumentare o accendere speculazione ribassista.
Questa è solo la punta dell’iceberg: la Consob pubblica infatti solo le posizioni ribassiste che superano la soglia dello 0,5% del capitale di una società quotata, ma la maggior parte degli speculatori sta sotto. Nel 2015, per fare un esempio, il 72% delle posizioni ribassiste è rimasto sotto questa soglia: dunque la stragrande maggioranza dei ribassisti non è visibile nei dati pubblici della Consob. In ogni caso, però, anche la sola punta dell’iceberg parla chiaro: sulle banche italiane la speculazione ribassista è elevata. Attenzione però: chi credesse che sia colpa del referendum sbaglierebbe. La speculazione ribassista è infatti elevata da molto tempo. L’approssimarsi del referendum non ha, almeno guardando questa punta dell’iceberg, aumentato l’accanimento degli investitori internazionali. Anzi: in non pochi casi l’avvicinarsi di questo importante appuntamento ha indotto i fondi a smontare un po’ di posizioni “corte”.
Ricoperture pre-voto. È il caso per esempio di Aqr Capital, società di gestione globale che amministra 172 miliardi di dollari. A fine settembre aveva una posizione ribassista netta su Ubi Banca pari al 4% del capitale, ma piano piano l’ha ridimensionata: il primo novembre la posizione corta era scesa al 3,38% e il 2 dicembre all’1,89%. Questo significa che il fondo, dopo aver pigiato l’acceleratore delle scommesse ribassiste, ha deciso di moderarle. Forse proprio in vista del referendum. Aqr Capital non è il solo investitore ad essersi comportato così. La newyorkese Millennium International ha addirittura chiuso tutta la speculazione ribassista sulla stessa Ubi: a fine settembre il fondo era “corto” per un ammontare pari allo 0,71% del capitale, e ora è uscito dalla rilevazione Consob.
Come hanno fatto molti investitori. Anche guardando l’andamento delle banche in Borsa, si capisce che nelle ultime giornate molta speculazione ribassista si è attenuata. Gli investitori sono stati infatti molto aggressivi nei mesi passati, sfruttando i crescenti timori sul referendum, sull’aumento del Montepaschi e in generale sulle banche italiane, ma in vista del 4 dicembre hanno preferito farsi meno aggressivi per non farsi spiazzare da un’eventuale rimbalzo delle Borse il giorno dopo il voto. Lo stesso trend si è visto sui titoli di Stato italiani.
Ribassisti incalliti. Ma ci sono anche molti fondi che hanno aumentato le posizioni “corte” sulle banche italiane. Sulla Banca Popolare di Milano, per esempio, la speculazione ribassista è passata in totale dal 2,57% del capitale a inizio ottobre al 5,32% attuale. Il fondo Syquant Capital, per esempio, a fine settembre aveva una posizione “corta” sull’istituto milanese pari allo 0,98% del capitale, mentre venerdì 2 dicembre la scommessa ribassista risultava cresciuta al 3,83% del capitale.
Del resto le banche italiane hanno molti problemi, a prescindere da quelli legati all’esito del referendum: troppi crediti deteriorati, poca redditività, scarso capitale. Finché non saranno sciolti questi nodi, è normale che i fondi più dinamici montino speculazioni ribassiste. Se non si vuole guardare il dito ma la luna, è da qui che bisogna partire: dai problemi irrisolti delle banche.