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 2016  dicembre 07 Mercoledì calendario

Quell’inversione degli hedge che fa volare le banche

«Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria». Alla Borsa di Milano potrebbe essere applicato il terzo principio della dinamica di Isaac Newton: ad ogni violenta speculazione ribassista corrisponde, prima o poi, un movimento al rialzo altrettanto violento. Il mega-rimbalzo delle banche di ieri è nato così.
I tanti hedge fund che in vista del referendum avevano speculato al ribasso sugli istituti di credito della Penisola, ieri sono sono stati infatti costretti a chiudere in fretta e furia le loro posizioni. Dunque a comprare azioni delle banche italiane in maniera affannosa. Quasi presi dal panico. Con una clamorosa inversione a «U». Perché il tanto pronosticato crollo dopo il «no» referendario non c’è stato. Perché domani la Bce potrebbe annunciare qualcosa di buono. E soprattutto perché il decreto in lavorazione al Tesoro – di cui in Borsa si sa poco ma si parla tanto – potrebbe evitare gli scenari peggiori sul Montepaschi e sulle banche più in crisi. Meglio, hanno pensato tutti insieme, smetterla di giocare al ribasso. Almeno per ora.
L’inversione a «U». Per questo ieri il rimbalzo è stato fragoroso: perché – spiegherebbe Newton – violenta era la speculazione precedente. Non esistono in realtà dati certi per capire quanto gli hedge fund fossero ribassisti sulle banche italiane. Gli investitori hanno l’obbligo di comunicare alla Consob tutte le posizioni «corte» superiori allo 0,2% del capitale di un’azienda quotata, ma questo non permette comunque di stimare la portata complessiva della valanga ribassista dell’ultimo mese. Perché molte speculazioni stanno volutamente sotto la soglia dello 0,2%, in modo da evitare sguardi indiscreti. E perché, data la vastità degli strumenti tecnici per scommettere sul ribasso delle azioni, non bisognerebbe stupirsi se qualche investitore aggirasse l’obbligo di comunicazione alla Consob.
Bisogna dunque fidarsi delle «sensazioni» delle sale operative. E di qualche dato che, indirettamente, le conferma. Ebbene, dicono tutti la stessa cosa: la speculazione ribassista prima del referendum è stata violenta. Forse una delle più violente degli ultimi anni. Intermonte Advisory rileva per esempio che a Piazza Affari il differenziale tra la volatilità storica e quella nell’ultimo mese è arrivata al massimo di sempre: questo significa che il posizionamento degli investitori sul «no» al referendum è stato nell’ultimo mese fortissimo, tanto da creare una tensione in Borsa che non si era vista neppure ai tempi di Brexit. Questa massa di speculazione era in parte già stata ridotta la settimana prima del voto. Qualcosa è stato fatto lunedì. Ma ieri, quando hanno iniziato a circolare le indiscrezioni su possibili decreti di salvataggio delle banche in crisi, gli investitori sono stati costretti a chiudere le posizioni al ribasso più in fretta possibile.


Terreno troppo fertile. Puntare sul ribasso di un titolo o di un settore non è vietato (vendere allo scoperto è lecito), e anzi aumenta la liquidità del mercato. Non c’è nessuna differenza “morale” (se questa parola ha un senso in Borsa) tra chi punta sul rialzo e chi sul ribasso di un titolo. Eppure dato che la speculazione (in entrambi i sensi) troppo spesso influenza gli eventi, fa saltare piani di risanamento e aumenti di capitale, costringe i Governi ad intervenire con soldi pubblici e a volte influenza gli eventi democratici, è giusto interrogarsi su cosa la renda così violenta. E così facile. Soprattutto a Piazza Affari.
Il primo motivo è banale: purtroppo l’Italia, con tutte le sue fragilità irrisolte, è terreno fertile. Il problema delle banche è stato tirato troppo alla lunga per biasimare gli hedge fund. Ma ci sono anche ragioni tecniche, su cui si potrebbe lavorare. Innanzitutto in Italia ci sono pochi investitori domestici: secondo i dati di Equita Sim, escludendo gli azionisti stabili, gli investitori esteri detengono il 91% del flottante dell’indice Ftse Mib e l’85% di quello del Ftse All-Share. Questo significa che la Borsa di Milano è dominata dagli stranieri, più propensi a scappare nei momenti di crisi o a specularci sopra. Questo aumenta la fragilità italiana.
Il terzo motivo è legato a un’usanza molto in voga in tutta Europa: i fondi comuni (e gli investitori di lungo termine in generale) tendono ad affidare le azioni che acquistano a società di custodia che, in cambio di un bassissimo costo, usano i titoli per prestarli a chi vuole speculare al ribasso. Questo favorisce le vendite allo «scoperto» (che consistono proprio nel farsi prestare dei titoli per venderli): se i ribassisti hanno gioco così facile – osserva un addetto ai lavori – è anche perché c’è un’enorme disponibilità di titoli da prendere in prestito. Infine esiste il fenomeno di chi gioca al ribasso senza neppure farsi prestare le azioni: si tratta di un comportamento vietato e sanzionato dalla Consob, ma questa pratica esiste. Però questo fenomeno – secondo le testimonianze – in questi giorni non è stato più rilevante del solito. Resta comunque un dato di fatto: se la speculazione è così forte, i motivi ci sono.