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 2016  dicembre 07 Mercoledì calendario

Mps, piano per la nazionalizzazione. La Bce frena sull’ipotesi del rinvio

Almeno in apparenza, sembra di assistere in Italia alla stessa commedia degli equivoci e delle previsioni mancate. Prima del referendum sulla Brexit, in caso di rottura con l’Europa il Fondo monetario internazionale aveva annunciato una recessione nel Regno Unito già nell’autunno; eppure l’economia britannica oggi cresce al 2%. Molti analisti avevano anche messo in conto un crollo di Wall Street, se Donald Trump si fosse imposto negli Stati Uniti con il suo programma protezionista; eppure da quando Trump è stato eletto l’indice Dow Jones è salito del 7,4%. Quanto all’Italia, erano rimbalzati sui media di lingua inglese i timori che fino a otto banche sarebbero potute fallire se il «No» avesse vinto nel referendum; eppure l’indice principale di Milano è ai massimi degli ultimi sei mesi e l’indice bancario ieri è salito dell’8,97%, su livelli di rado visti dall’inizio dell’estate.
Non mancano le spiegazioni per quel che appare, al momento, l’ennesimo errore di valutazione degli esperti. Non tutte però sono attestati di fiducia nel sistema finanziario italiano. Da ieri mattina i titoli bancari di Milano hanno cominciato a guadagnare terreno perché alcuni investitori stavano incassando i profitti dopo settimane di scommesse ribassiste, in vista della vittoria del «No» nel referendum costituzionale; ciò implicava acquisti sulle banche. Ieri pomeriggio poi «Reuters» e quindi l’«Ansa», sulla base di fonti del Tesoro, hanno riferito che il governo stava mettendo a punto il decreto per nazionalizzare il Monte dei Paschi di Siena. Fra l’altro sarebbe allo studio l’acquisto da parte del Tesoro di obbligazioni «subordinate» di Mps per due miliardi, oggi in mano a piccoli investitori privati. Questi ultimi sarebbero dunque salvaguardati in caso di nazionalizzazione, quindi il Tesoro potrebbe convertire quei bond in azioni e prendere controllo della banca nella speranza di attrarre anche nuovi soci privati.
Del resto non sembrano più esserci alternative all’intervento dello Stato. I fondi sovrani del Qatar, attorno ai quali doveva ruotare il salvataggio del Monte dei Paschi, nel caos della politica italiana ormai si guardano bene dal farsi avanti. La Banca centrale europea non dà segni di voler concedere altro tempo alla banca senese: se non trova capitali freschi entro l’anno, rischia molto seriamente di essere messa in «risoluzione»; l’azienda di credito finirebbe in fallimento e verrebbe azzerato risparmio delle famiglie e delle imprese per 13 miliardi oggi investito in bond e depositi bancari (sopra i 100 mila euro).
La nazionalizzazione sta diventando ogni ora più inevitabile. Se i titoli delle banche italiane sono molto saliti ieri pomeriggio, è soprattutto perché il mercato adesso spera che l’intervento cauterizzi la più grave ferita aperta e la maggiore fonte di contagio nel sistema finanziario del Paese. Eppure ancora ieri notte, malgrado le fughe di notizie, non sembrava affatto certo che l’operazione fosse davvero pronta. Il decreto legge per attuarla, a quanto pare, non è scritto. Soprattutto, a dispetto dell’attivismo del Tesoro, oggi sembra del tutto improbabile che l’attuale governo di Matteo Renzi lanci un intervento da almeno 4 miliardi per Monte dei Paschi. Sempre attento a evitare mosse potenzialmente impopolari, il premier uscente non ha intenzione di farlo. Preferisce che se ne occupi il prossimo governo quando si formerà.
Ovviamente un «piano» del genere non fa i conti con la possibilità che una rivolta del mercato e la Bce obblighino il governo attuale ad agire in emergenza su Mps. A quel punto però il contagio si sarebbe già diffuso sul resto del sistema bancario, a partire dalle situazioni più fragili: Carige, le banche venete e per altri versi il piano di fusione fra Bpm e Banco Popolare. A maggior ragione sarà determinante che la nazionalizzazione di Mps, se e quando ci si arriva, venga eseguita ordinatamente. È anche per queste incertezze che la rimonta delle banche italiane in Borsa a una seconda occhiata non sembra poi così travolgente. Unicredit ieri è salita del 12,8%, ma è passato di mano appena il 2,7% del capitale; Intesa Sanpaolo dell’8,1%, con scambi su appena l’1,3% del capitale; valori simili valgono anche per Ubi e altri istituti.
Quando la liquidità è così scarsa basta poco per alterare i prezzi di Borsa. Ma appare chiaro che i fondi internazionali continuano a non toccare le banche italiane – viste oggi come l’epicentro della crisi dell’euro – perché non c’è chiarezza. Toccherebbe alla politica farla, sempre che qualcuno in quell’ambiente si stia ponendo il problema.