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 2016  dicembre 06 Martedì calendario

Chi comanda ha per forza torto

Un uomo con giacca e cravatta preso a pomodori in faccia, questa la copertina dell’ultimo numero di Die Woche, il settimanale della Frankfurter Allgemeine. E il titolo annuncia: «Eliten am Pranger», cioè alla berlina, o alla gogna, perché continua a diminuire la fiducia nei politici, nei manager e nei giornalisti.
I populisti avanzano dal Texas alla Prussia, da Londra a Parigi, da Roma a Vienna, dove sono stati fermati in extremis (la rivista è andata in stampa prima dei risultati in Austria e in Italia). In Germania, l’AfD, l’Alternative für Deutschland, probabilmente diventerà il terzo partito alle prossime elezioni, nel settembre 2017, e per la prima volta dal dopoguerra potrebbe impedire una coalizione a due. Ma tre partiti al governo a Berlino evocano già l’instabile Repubblica di Weimar. Tedeschi esagerati?
Definirli populisti, come una condanna, è un errore. Perché le élite perdono prestigio e autorevolezza, e non da ieri? Ovunque dagli Stati Uniti alla vecchia Europa, si risponde che una gran parte di elettori è ignorante, non legge i giornali, si informa al massimo in rete, è razzista, neonazista, e così via. Ma anche chi dovrebbe informare, noi giornalisti, preferisce educare, cioè manipolare, seleziona le notizie secondo il personale gradimento, e sbaglia regolarmente le analisi. In Germania come da noi, pochissimi hanno previsto che Trump avrebbe potuto vincere. E nessuno si è scusato dopo. Poi non si può protestare perché Lügenpresse, stampa bugiarda, diventa la parola dell’anno, già nel 2014. La sfiducia nella stampa non è stata provocata dalla notte di violenze a Capodanno a Colonia, censurata per cinque giorni. I tedeschi hanno accusato i media di mentire sulla crisi in Ucraina, addossando tutte le colpe a Putin. Non è sempre comunista chi critica la politica aggressiva della Nato.
Secondo l’istituto demoscopico Allensbach, solo un tedesco su quattro si fida dei politici, la stessa percentuale stima i sindacalisti. Il giudizio è ancora più severo per certi partiti riguardo alcuni temi. Appena il 9% ritiene che i socialdemocratici abbiano idee chiare sul futuro del paese. Tre anni fa, si era ancora al 17, poco ma quasi il doppio. Meno catastrofico, ma non tanto, il giudizio sulla Cdu/Csu di Frau Merkel: dal 31 si scende al 19. Per i giornalisti va meglio, ma la fiducia si è quasi dimezzata in due o tre anni: il 40% ritiene giustificato parlare di stampa bugiarda, e il 42 è convinto che il governo controlli stampa, radio e tv. La metà dei lettori e degli utenti giudica che i giornalisti appoggino i politici al potere invece di controllarli. «Le élite vivono in una bolla che li separa dal resto della popolazione?» si chiede Die Woche.
Dopo la crisi del 2008, nessun manager, in Germania e altrove, ha pagato per i suoi errori. Tutti sono stati ricompensati con premi per milioni di euro o di dollari, senza tener conto dei risultati. E a Bruxelles ci si preoccupa di salvare le banche invece di venire incontro ai bisogni degli europei. Una grande maggioranza, secondo il sondaggio Allensbach, ritiene che le differenze sociali continuino ad aumentare.
Frau Merkel, scrive il settimanale, continua a ripetere che la sua politica è «alternativlos», cioè l’unica possibile, senza alternative, anche sull’accoglienza ai profughi. Ma il 53% si sente insicuro, una percentuale che varia di poco da partito a partito, il 52 tra chi vota per Angela, e per l’estrema sinistra, il 51 tra i socialdemocratici, e che balza al 73 per i populisti dell’AfD. Chi ha più paura non si sente difeso dai partiti al potere e vota per protesta.
Die Woche ricorda un altro sondaggio (di cui abbiamo già riferito). Nel 2013, alla domanda se sia possibile manifestare liberamente la propria opinione, il 30% rispose «solo con precauzione». Chi è contro l’euro, è un nazionalista, chi ha qualche preoccupazione per l’arrivo di troppi islamici, è un razzista. Oggi la percentuale di chi «parla con prudenza», probabilmente è aumentata. I politici cominciano a preoccuparsi. La cristianodemocratica Ursula von der Leyen, ministro alla difesa, tra le candidate alla successione della Merkel, disse a caldo di «essere scioccata» per la vittoria di Trump. Oggi si corregge in un’intervista allo Spiegel che «la political correctness è esagerata». Il vicecancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel ammette: «Dobbiamo stare un po’ attenti a non giudicare tutti quelli che non la pensano come noi, come razzisti e xenofobi».